mercoledì 30 novembre 2011

Ritrovati al Pantheon Matidia e gli Argonauti

Ritrovati al Pantheon Matidia e gli Argonauti
Paolo Brogi
Corriere della Sera, 13/9/2005
Scoperti intorno al Pantheon il Tempio di Matidia e il Porticato degli Argonauti. Grazie ai lavori intrapresi dal Senato riemergono importanti resti archeologici: la basilica che Adriano dedicò alla suocera Matidia rinvenuta a piazza Capranica, sotto il complesso di Santa Maria in Aquiro, e il Porticato degli Argonauti, nei Saepta Iulia di piazza della Minerva.

I tesori celati dai sampietrini del Campo Marzio centrale
L'area del Campo Marzio centrale compresa tra piazza Navona ad ovest, via del Corso ad est, via dei Coronari e via delle Coppelle a nord, Corso Vittorio a sud era il cuore della IX regione augustea. L'intensa urbanizzazione dell'area nel periodo augusteo ad opera di Agrippa registrò interventi successivi degli imperatori Domiziano e Adriano e sotto i Severi. I Saepta Iulia che risalivano al VI secolo a.C. furono ristrutturati prima da Agrippa e poi da Adriano. Accanto al Pantheon, costruito nel 27 a.C, sorgeva la più grande insula romana, a sud la Basilica Neptuni. Ancor più a sud Agrippa aveva costruito le più antiche terme romane a carattere pubblico. Lì c'era anche uno stagno, poi ricoperto da lastricati. Poco più a sud del Tempio di Matidia, a partire da piazza San Macuto, c'era infine il più importante santuario del culto egizio a Roma.
Un tempio dedicato alla suocera, davvero un «unicum». È il tempio di Matidia, voluto dall'imperatore Adriano. Una specie di curioso fantasma archeologico. Sorgeva non lontano dal tempio di Adriano, quello eretto dal suo successore Antonino Pio e di cui si possono ammirare ancor oggi le bellissime undici colonne corinzie a Piazza di Pietra. Finora la basilica di Matidia e di Marciana, quest'ultima madre della suocera d'Adriano, era nota soltanto per una fistula plumbea rinvenuta tra la Chiesa di S.Ignazio e il Pantheon e per un medaglione del 120 d.C. con un tempio e due corpi di fabbrica laterali porticati.
E ora invece sta riemergendo a piazza Capranica, non lontano da altri importanti ritrovamenti in piazza della Minerva. E per tutta l'area si avvicina l'ipotesi di un nuovo percorso archeologico che gravita intorno al Pantheon, il tempio per eccellenza costruito nel 27 a.C. Il «tempio della suocera» è sempre stato lì, a cinque metri di profondità in piazza Capranica, messo di traverso rispetto alla piazza e col corpo che va in direzione di piazza San Macuto. A restituircelo oggi sono i lavori in corso nel complesso di Santa Maria in Aquiro, grande proprietà dell'Ipab che sorge tra le vie in Aquiro, della Guglia, dei Pastini, della Spada d'Orlando e piazza Capranica. I lavori in corso sono per conto del Senato, che vi sta allestendo studi e servizi per i senatori con un nuovo ingresso previsto su via in Aquiro.
«Nei piani cantinati del pianterreno sotto il pavimento sono venuti fuori i gradini del tempio e sei colonne, probabilmente la parte frontale del tempio - spiega Rosalba Quinto della sovrintendenza archeologica di Roma -. Le colonne sono state tagliate nella parte apicale, un intervento effettuato nel Rinascimento per costruire il piano del convento. Scendono giù per parecchi metri, almeno cinque. Una colonna invece è conservata in tutta la sua altezza, perché è stata inglobata nel muro laterale dell'edificio ed è visibile dall'interno».
Al tempio di Matidia appartenevano forse le cinque colonne in marmo cipollino rinvenute nel secolo scorso presso piazza Capranica. L'identificazione del tempio è garantita ora da altre risultanze emerse nella zona, durante piccoli lavori urbanistici che tra il '700 e l'800 aveva messo in luce un pezzo di muro e un altro pezzo di colonna. «Stiamo procedendo cautamente tenendo conto dei problemi di stabilità dell'edificio - aggiunge l'archeologa -. Vogliamo naturalmente mettere in luce tutto il possibile e se verrà confermata definitivamente l'ipotesi sul complesso ne chiederemo anche la valorizzazione».
Il ritrovamento rilancia anche i tesori che sono nascosti sotto piazza della Minerva, scoperti durante i lavori per ristrutturare la biblioteca del Senato. Al momento vi si accede attraverso una botola che si apre sui piazza della Minerva. Una volta scesi giù, a una profondità di cinque metri, ecco emergere un'area larga cinque metri e lunga un centinaio indirizzata verso via dei Cestari. È il porticato degli Argonauti, appartiene ai Portici delle Saepta Iulia, quel grande rettangolo di duecento metri di lunghezza e 90 di larghezza con relativi porticati che dopo essere stato in epoca repubblicana il posto in cui votavano i romani in epoca imperiale era stato poi trasformato in un museo di rarità. «Abbiamo ritrovato tre basi di colonna, tre gradini e una colonna intatta di travertino alta tre metri e mezzo, fanno parte del quadriportico - spiega l'archeologo della sovrintendenza Claudio Moccheggiani -. Il Senato vuole valorizzare queste scoperte. Ma l'ideale sarebbe di continuare a scavare, in direzione di Largo Argentina, sotto via dei Cestari. Abbiamo la certezza della prosecuzione nella piazza...».

martedì 29 novembre 2011

BARBARIANS AGAINST ROME Rome's Celtic, Germanic, Spanish and Gallic Enemies

BARBARIANS AGAINST ROME Rome's Celtic, Germanic, Spanish and Gallic Enemies

Peter Wilcox, Rafael Treviño

Questo volume è composto da tre capitoli: uno sui germani e Daci, una sul gallici e celti britannici e uno dedicato alla Spagna. Il periodo di riferimento varia da capitolo a capitolo, il primo copre il periodo più grande, da circa 400 aC al 476 dC, il secondo fuoco di 115 aC al 84 dC e le offerte scorso con 218 al 133 aC.

Il primo capitolo, sui germani e Daci, è probabilmente il meno informativo. Anche se ci sono un sacco di illustrazioni di armi, elmi e scudi, ci è prezioso poche informazioni sulle Campagne.

Il secondo capitolo, sui Celti e Galli, particolare fornisce una migliore informazione sulla struttura delle loro società, così come numerose informazioni sulle armi e le attrezzature. Le guerre del 115-102 aC cimbra sono ben descritte.

Nel terzo capitolo l'autore non solo fornisce informazioni sulle armi standard e attrezzature, esaminando l'impatto delle guerre ispano su Roma. Da un lato, la Spagna aveva abbondanti risorse per Roma; solo nel 200 aC, i Romani ottenuto più di 2,400 libre di oro e argento in 44,000 libre. D'altra parte, la i guerriglia in stile resistenza delle tribù avverse al dominio romano ed erano estremamente difficile e costose per l'esercito romano. L'autore stima che la popolazione romana in Spagna da circa 65.000 realtà diminuita tra il 153-133 aC. L'autore fornisce due ben scritti sulla campagna per illustrare la natura della guerra di Spagna: La campagna di Viriatus (147-139 aC) e le guerre Numantina (153-133 aC).

Nel suo insieme, questo volume è una sintesi utile delle più importanti tribù barbariche occidentali che si opponevano all'egemonia romana. 


 

Rome at War: Farms, Families, and Death in the Middle Republic

Rome at War: Farms, Families, and Death in the Middle Republic
(Studies in the History of Greece and Rome)

Nathan Rosenstein

Gli storici hanno a lungo affermato che nel e dopo la guerra annibalica,la Repubblica Romana ricorse alla coscrizione militare per un lungo periodo. Il servizio militare avrebbe contribuito a portare, la scomparsa delle piccole aziende agricole in Italia e che la miseria dei cittadini impoveriti divenne poi carburante per le conflagrazioni sociali e politici della tarda repubblica. Nathan Rosenstein contesta questa affermazione, mostrando come Roma riuscisse a conciliare i bisogni della guerra e l'agricoltura per un lungo periodo dell'epoca della repubblica. La chiave, Rosenstein sostiene, sta nel riconoscere il ruolo fondamentale di formazione della famiglia. Attraverso l'analisi dei modelli delle necessità delle famiglie per il lavoro agricolo. Questo dimostra come la famiglie spesso ha avuto un surplus di manodopera per soddisfare le esigenze della coscrizione militare. Forse cosa determino la crisi sociale del II secolo aC? Rosenstein sostiene come la guerra aveva come conseguenze demografiche importanti, aspetto e causa non riconosciuta dagli storici precedenti: la pesante mortalità militare paradossalmente avrebbe contribuito a sostenere un drammatico aumento delle nascite, portando in definitiva a sovrappopolazione e la mancanza di terra.

Villes et peuplement dans l'Illyricum protobyzantin

Villes et peuplement dans l'Illyricum protobyzantin.
Actes du colloque de Rome (12-14 mai 1982)
(Collection de l'École française de Rome 77)
Gilbert Dagron (ed)
Due o tre tipi di problemi hanno sempre attirato l'attenzione degli storici, quando sono interessati nell'Illirico protobyzantin: da una parte amministrativa ed ecclesiastica, a causa della posizione centrale occupata dalla regione tra le due parti della ex impero romano, e fu allora di definire il luogo dell'Illirico nella nuova configurazione del potere, e gli eventi d'altra parte, a causa degli sconvolgimenti nella regione che hanno portato da ondate successive di invasori barbari. Oppure è lo specialista oggi, grazie soprattutto ai numerosi scavi e reperti archeologici, una risorsa materiale che si è notevolmente rinnovata e che consente nuovi approcci alla all'Illiria protobyzantin: processo di acculturazione tra gruppi e slavi le città imperiali, nascita di un nuovo potere urbanistico che sostituisce le vecchie istituzioni comunali e profonda revisione della struttura delle popolazioni illiriche ruralizzazione città diminuzione e l'economia che influenzano i termini della liquidazione e il carattere del paesaggio urbano, ecc. La città è in realtà al crocevia di quasi tutte le domande che ora può chiedere il rilancio degli studi illirici e abbiamo capito che è stato centrale nel lavoro del simposio tenutosi a Roma 12, 13 e 14 maggio 1982. Tuttavia, nessun aspetto delle ultime ricerche sul all'Illiria protobyzantin è stato trascurato durante il simposio le cui azioni apportano un contributo essenziale a qualsiasi discussione sulle condizioni in cui le merci, nell'ambito delle invasioni e la partizione tra Oriente e Occidente, il passaggio dall'antichità al Medioevo.

«No alla discarica vicino a Villa Adriana»

«No alla discarica vicino a Villa Adriana»
Corriere della Sera – Roma 12/11/2011

Il presidente della Commissione nazionale italiana per l'Unesco, Giovanni Puglisi, «si associa alle forti preoccupazioni espresse da rappresentanti della società civile italiana e dalla stampa internazionale circa la prevista apertura di una discarica a Corcolle, a poche centinaia di metri da Villa Adriana di Tivoli, proclamata dall'Unesco "Patrimonio dell'Umanità" nel 1999». «Esprimo la mia forte preoccupazione e il mio più profondo rammarico — dichiara Puglisi — per le conseguenze che l'apertura della discarica potrà avere sull'immagine dell'Italia nel consesso internazionale, solo pochi mesi dopo i tragici crolli di Pompei». «E mio dovere associarmi agli accorati appelli rivolti dalla società civile italiana e dalla stampa internazionale alle massime autorità dello Stato — aggiunge Puglisi — nell'auspicio che Villa Adriana e le aree archeologiche circostanti siano tutelate in ogni modo. Affinché per mille e mille anni ancora si possa ritrovare - a Villa Adriana e negli altri luoghi-simbolo del patrimonio culturale dell'umanità - il senso della propria storia e della propria identità».

lunedì 28 novembre 2011

«No» ai rifiuti tra i siti archeologici

«No» ai rifiuti tra i siti archeologici
Ann. Con.
Il tempo - Roma 13/11/2011

Il consiglio comunale ribadisce che la discarica a Corcolle non deve essere aperta
Nuova ipotesi. Un impianto nei terreni dell'ex Pio Istituto Santo Spirito

TIVOLI. L'immondizia di Roma tra siti archeologici, santuari e acquedotti romani non ce la vogliamo. È chiaro l'indirizzo dato dal consiglio comunale di Tivoli sulla questione della discarica che dovrebbe sorgere nel sito Corcolle-San Vittorino, contenuto all'interno dell'ordine del giorno presentato dai consiglieri Antonio Pisapia, Udc, Laura Cartaginese, Pdl, e Carlo Centani, Amore per Tivoli, e votato all'unanimità. Nel documento, oltre a prendere atto delle contestazioni messe in atto da associazioni e cittadini contro la decisione del Prefetto, Giuseppe Pecoraro, che ha individuato in quell'area e a Riano il posto dove delocalizzare provvisoriamente i rifiuti capitolini, il consiglio manifesta il suo allarme per i «criteri espressi dal Commissario Straordinario che vedono nei siti di Corcolle e Riano come unica caratteristica utile alla discarica, la morfologia del territorio con gli incavi già presenti» . Alle questioni di metodo si aggiungono quelle di merito: oltre alla vicinanza alla Villa Adriana e al Santuario di San Vittorino, c'è da dire che la rete infrastrutturale attuale non è sufficiente ad accogliere la mole di traffico di mezzi pesanti, che aumenterebbe in maniera esponenziale. Guardando concretamente al tema rifiuti, invece, ad essere ventilata è anche l'ipotesi di individuare un'area nel territorio del comune di Tivoli in cui localizzare un impianto di compostaggio o di Trattamento Meccanico Biologico. Tra i terreni candidati quelli dell'ex Pio Istituto Santo Spirito.

sabato 26 novembre 2011

Mosaici romani infestati dalle erbacce nel degrado l´area di piazza Vittoria

Mosaici romani infestati dalle erbacce nel degrado l´area di piazza Vittoria
v.f.
La repubblica - Palermo 13/11/2011

Le tessere scomposte dalla pioggia e dalla vegetazione. L´ultimo intervento nel 2001

Abbandonati alle ortiche. Ecco come si presentano i mosaici dell´area archeologica di Villa Bonanno, a piazza della Vittoria, circondati e infestati da erbacce, trifoglio e vegetazione incolta che rischiano di deturpare questo sito. Riuscire a distinguere in nell´intreccio di piante i mosaici policromi e bicromi, risalenti all´età Severina - primi decenni del terzo secolo dopo Cristo - di cui oggi non rimangono che poche sezioni, non è affatto semplice. A peggiorare poi la situazione sono state le piogge delle scorse settimane che in vari punti hanno intaccato i mosaici, riempiendoli di umidità che si è trasformata in muffa.
Dall´unità operativa Beni archeologici dell´assessorato regionale Beni culturali spiegano che «la pulizia non è semplice ed è stata fatta nei limiti della disponibilità dei soldi». Ma assicura invece interventi immediati il soprintendente Gaetano Gullo: «Stiamo utilizzando la Forestale per quanto riguarda la pulizia e la sistemazione dell´area, al più presto riporteremo la situazione alla normalità».
Eppure sino ad ora del complesso archeologico sembra che nessuno si sia occupato sul serio. Le informazioni su Internet sono sommarie e al numero di telefono indicato per le informazioni non risponde nessuno. All´ingresso della villa nessun segnale indica l´area archeologica. Solo tre cartelli, alcuni usurati dal tempo, raccontano ciò che in realtà non si vede, perché delle sezioni musive disposte in esterno quello che rimane è ormai ben poco. I più pregiati, come il Mosaico delle stagioni e quello di Orfeo sono custoditi al museo Salinas. L´ultimo intervento risale al 2001, da allora più nulla. Otto i custodi che si occupano della sorveglianza: uno assente per malattia, i rimanenti si alternano tre la mattina e tre il pomeriggio. E il progetto proposto dalla Soprintendenza per rendere il complesso maggiormente fruibile con fondi europei, non è stato finanziato per la scarsità delle risorse. E i mosaici restano in attesa di cure, mentre l´inverno si avvicina a grandi passi.

venerdì 25 novembre 2011

Mare delle Egadi, trovato il quarto rostro

Mare delle Egadi, trovato il quarto rostro
Francesco Greco
La Sicilia 15/11/2011

Il mare trapanese continua a restituire reperti e testimonianze delle guerre puniche. Un altro rostro di nave romana, è stato recuperato casualmente al largo delle Egadi, da un peschereccio che era impegnato in una battuta di pesca a strascico.
Il reperto, in discrete condizioni di conservazione, è stato tirato in superficie assieme alle reti, quando l'imbarcazione si trovava a una distanza di circa sette miglia dall'isola di Levanzo. Si tratta del quarto rostro restituito dal mare negli ultimi sette anni, compreso quello bronzeo custodito al Museo Pepoli. Un altro è stato ritrovato nelle acque a Nord Ovest di Levanzo, nel corso di una campagna di ricerche condotta per un mese dalla Soprintendenza del Mare della Regione e dalla Fondazione statunitense "Rpm Nautical Foundation". Il progetto, finalizzato a una serie di ricognizioni sistematiche dei fondali dell'arcipelago trapanese, si era sviluppato nell'ambito di una convenzione di collaborazione scientifica tra i due enti, per la ricerca di testimonianze storiche ed archeologiche riconducibili alla battaglia delle Egadi combattuta il 10 marzo del 241 avanti Cristo. Quel rostro fu trovato semisepolto in un fondale sabbioso, a circa ottanta metri di profondità.
L'ennesimo reperto, ritrovato domenica scorsa e subito consegnato alla Capitaneria di porto, non è stato ancora esaminato dalla Soprintendenza. L'intervento degli esperti, già richiesto dalla Guardia costiera che attualmente custodisce il rostro della nave romana, è atteso nei prossimi giorni. «L'importanza del reperto scaturisce dal fatto che questo tipo di elemento navale è rarissimo - viene spiegato - e nel mondo ne sono noti solo alcuni, tra cui quello di Athlit, in Israele, quello conservato presso l'Armeria reale di Torino e un altro recuperato nelle acque siciliane alcuni anni fa».

mercoledì 23 novembre 2011

Ritrovato un sarcofago del III secolo d.C.

Ritrovato un sarcofago del III secolo d.C.
il messaggero - Roma 15/11/2011

Un sarcofago risalente al III secolo dopo Cristo rubato nella chiesa della Madonna della Libera di Aquino nel 1991 è stato ritrovato dal gruppo tutela patrimonio archeologico della Guardia di Finanza fuori dai confini nazionali. Il reperto romano venne rinvenuto nell'800 scavando nella stessa chiesa dove venne impiegato come altare e dove rimase fino al furto. Il sarcofago è decorato con altorilievi rappresentanti una corsa di quadrighe nel Circo Massimo, presumibilmente di Roma. «Mi era stato chiesto di mantenere il riserbo ancora per un po’ - ha detto il sindaco di Aquino, Antonino Grincia - data la delicatezza della fase di recupero ancora in corso. Ma il momento è particolarmente adatto e il sarcofago è ormai recuperato anche se non ancora in Italia perché il ritrovamento è avvenuto all'estero. Così ho ritenuto opportuno annunciare il ritrovamento».

martedì 22 novembre 2011

Le quattro stagioni dal Palazzo Imperiale di Ostia

Le quattro stagioni dal Palazzo Imperiale di Ostia.

Colonne e porti romani ritrovati nel Tevere

Colonne e porti romani ritrovati nel Tevere
di Maura Gualco
L'Unità, 22/09/2005, Roma

Grazie a uno studio della Regione è stato possibile scandagliare il fondale del fiume per conoscerne la morfologia

COLONNE antiche e ponti romani sono stati scoperti sul fondale del fiume Tevere. Lo scopo non era quello di andare a caccia di reperti archeologici ma di scandagliare il letto del biondo Tevere per studiarne gli accumuli di sedimenti, l'erosione subìta: tecnicamente, la sua idrodinamica. E invece, sono saltati fuori addirittura: il Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma fatto demolire da papa Sisto alla fine del '400. Ma anche il Pons Neronianus ed alcune colonne. Un vero tesoro sommerso. Circondato, tuttavia, da carcasse di auto e da circa duecento alberi. «Il Tevere racconta Roma» è il progetto che ha permesso di viaggiare sul fondale del fiume grazie ad un metodo d'indagine tra i più innovativi del mondo, ed il primo ad essere utilizzato in Italia per studiare la morfologia del letto del fiume: l'ecoscandaglio multifascio (Multibeam). Lo studio è costato 170mila euro ed è stato finanziato dall'Autorità di Bacino del F. Tevere e dalla regione Lazio. Ed ha interessato il Tevere dalla foce sino al Ponte del Grillo (Monterotondo) per una lunghezza di circa 80 chilometri. «Questo progetto è nato con l'intenzione di coniugare la sicurezza idraulica e la vivibilità di questo importante e storico corso d'acqua», ha spiegato Angelo Bonelli, assessore all'Ambiente e Cooperazione tra i Popoli della regione Lazio. «L'individuazione sul fondale del Tevere dei reperti archeologici - ha continuato - permette la nascita di una collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma, con cui si potrà lavorare
in sinergia per arrivare a sapere di più sulle popolazioni che abitarono il fiume. Va comunque sottolineato - ha concluso l'assessore Bonelli, che nel frattempo annuncia l'istituzione di un parco interregionale del Tevere, da Monte Fumaiolo fino alla foce del fiume - che tale studio deve continuare, anche per mantenere un'opera di manutenzione e di pianificazione del Tevere». Per quale motivo? È importante, ha spiegato il direttore dell'Ufficio Idrografico e Mareografico della Regione Lazio Francesco Mele, poiché questa prima visione dell'alveo sommerso permetterà, in futuro, ulteriori ricostruzioni ar-cheologiche, e di ampliare le informazioni sull'idrodinamica del fiume, sul trasporto delle sabbie, sulla stabilità delle infrastrutture civili, sulla navigabilità stessa dell'alveo, sulla distribuzione dei sedimenti, anche ai fini della mappatura degli ecosistemi e di eventuali inquinanti.

lunedì 21 novembre 2011

Nuova descrizione della Casa delle Vestali secondo il risultato dei più recenti scavi

Marucchi O. – Nuova descrizione della Casa delle Vestali secondo il risultato dei più recenti scavi. La scoperta, nel novembre del 1883, dell’atrio di Vesta durante gli scavi nella parte meridionale del Foro, sotto il Palatino, fu un evento importante che attirò tutti gli studiosi e gli appassionati di antichità romane. Il Marucchi, quindi, negli anni immediatamente successivi compilò una delle prime descrizioni del tempio ritrovato. Pp. 88. Roma, 1887

disegno raffigurante i soccorsi ad un ferito durante un combattimento in arena


disegno raffigurante i soccorsi ad un ferito durante un combattimento in arena.

sabato 19 novembre 2011

Il Mausoleo ritrovato Dal Quadraro alle Terme di Diocleziano nuova dimora per il sepolcro delle meraviglie

Il Mausoleo ritrovato Dal Quadraro alle Terme di Diocleziano nuova dimora per il sepolcro delle meraviglie
LAURA LARCAN
La Repubblica 25-09-11, ROMA


«ANCORA ricordo quel giorno : l a gomma del mezzo meccanico si infilò in una buca, poi s' aprì un vuoto e scoprimmo una voragine nel terreno. Ci calammo subito e trovammo la stanza. Fu uno spettacolo: le pareti erano completamente ricoperte di stucchi di una raffinatezza mai vista». Si coglie ancora un pizzico di emozione nelle parole di Roberto Egidi, direttore del Palatino e Foro romano, quando racconta la storia del Mausoleo "ipogeo" del Quadraro della prima metà del I secolo a. C. uno dei capitoli più incredibili del patrimonio archeologico di Roma. Sembrava che la sua vicenda dovesse rimanere chiusa nelle viscere della terra stessa che l' aveva svelato nel 1992, al IV miglio dell' antica via Latina, presso l' Acquedotto Claudio, al termine di una campagna di scavi preventivi per la ferrovia Roma-Ciampino.E invece il Mausoleo sarà visibile al pubblico con un ardito progetto di valorizzazione da un milione di euro che farà parlare di sé. Sarà ricostruito nell' area dei giardini d' ingresso alle Terme di Diocleziano, tra piazza dei Cinquecento e piazza della Repubblica, mantenendo intatta la sua struttura sotterranea. «Sono partiti i lavori di scavo per la realizzazione degli ambienti ipogei dove inseriremo la ricomposizione del monumento - annuncia Egidi a capo dell' operazione - Si tratta di un' area già scavata tempo fa per ricavare bagni pubblici. Il progetto prevede una copertura con prato naturale, mentre scalette consentiranno di scendere nei sotterranei e da un ballatoio affacciarsi sulla camera funeraria per ammirare quel capolavoro». Il progetto, finanziato con 600 mila euro, si completerà entro due anni. Nel frattempo, il corredo degli stucchi è al centro di un delicato intervento di restauro da concludersi entro dicembre. Con 400 mila euro, fondi del commissario Roberto Cecchi, si è proceduto al distacco e al riposizionamento su nuovo supporto. «É vero che le norme del restauro prediligono sempre di lasciarei reperti in sito- osserva Egidi - ma la situazione del mausoleo è a rischio. Il monumento è indifendibile da attacchi atmosferici e possibili atti vandalici. L' area non è musealizzabile». Appena scoperto, con l' allora soprintendente Adriano La Regina, rimase aperto per sole 24 ore, per consentirne la documentazione. Ma nel 2008, su suggerimento di Fausto Zevi, si decise di riaprirlo e, d' accordo col soprintendente Angelo Bottini, di salvarlo. L' operazione consentirà di scoprire questo sepolcro articolato in un' anticamera e una camera di 5 metri per 4, coperte da volte a botte, dove si apre una nicchia destinata a conservare il sarcofago. «Non rimane traccia ne del sarcofago, ne delle urne - dice Egidi - Un ampio buco sulla volta ci fa pensare che sia stato già violato in antichità». Ma il vero spettacolo lo riservano gli stucchi: volte e pareti sfoggiano una variegato repertorio di fregi con quadretti figurati incorniciati da ghirlande e festoni di foglie. Tra i vari personaggi sono stati identificati Demetra e Dioniso. «Immagini come queste in un edificio sepolcrale sono collegate ai culti misterici di origine greca - avverte Egidi - I proprietari erano seguaci delle religioni di tradizione orfico-ellenistica». Nella camera principale, lesene angolari con capitelli ornati da foglie d' acanto e volute incorniciano una falsa porta ad effetto trompe l' oeil, mentre la lunetta accoglie due grifoni araldici.

giovedì 17 novembre 2011

Scoperto l'Arsenale di Traiano

Scoperto l'Arsenale di Traiano
Fabio Isman
Il Messaggero 20/9/2011
ROMA — L'Arsenale dell'urbe di Traiano, un vastissimo edificio di oltre 145 metri risalente al secondo secolo dopo Cristo, è stato scoperto tra Ostia e Fiumicino. Si presume che nell'Arsenale si costruissero le navi della flotta imperiale, che venivano poi riparate nello stesso edificio durante l'inverno.

ROMA - Eccezionale scoperta tra Ostia e Fiumicino: un vastissimo edificio, lungo almeno 145 metri; probabilmente si tratta dell'Arsenale dell'Urbe di Traiano. Doveva possedere volte alte 12 metri, ed è tra l'antico Porto di Claudio, inaugurato da Nerone e dismesso perché spesso si insabbiava, e il bacino esagonale di quello di Traiano, edificato tra l'anno 110 e il 117. E' stato individuato dagli archeologi dell'Università di Southampton e della British School di Roma, che scavano con l'ausilio di una cooperativa, e in collaborazione con la Soprintendenza archeologica di Roma: stanno per iniziare la loro quinta campagna. Finora, dell'edificio sono riemersi una prima navata (pare che fossero otto, parallele), larga 12 metri e lunga 58; e alcuni pilastri in opera laterizia, rettangolari, di due metri per uno e mezzo. Le navate erano aperte sia sul bacino di Claudio, iniziato nell'anno 42 e completato nel 64, sia su quello di Traiano. Si presume che nell'edificio si costruissero le navi, e si riparassero durante l'inverno. La scoperta sarà presentata domani, a Porto; ma è stata già annunciata ieri, con molti dettagli. Nei pressi, sorge il palazzo imperiale: recenti scavi del professor Simon Keay, che nell'area ha individuato pure un anfiteatro lungo 42 metri e largo 38, fanno ritenere che costituisse la residenza di un funzionario, incaricato di coordinare il movimento delle navi e dei carichi nel porto. Che questo appena scoperto fosse una sorta di arsenale, lo lasciano intendere alcune iscrizioni su pietra, trovate in zona: citano un «collegium» dei «fabri navales portuensis», e un altro dei «fabri navales ostensium ; una corporazione, forse, di schiavi liberati. Ma non soltanto lo spettacolare immobile rende probabile che Porto, città sorta presso il bacino, fosse il cantiere navale imperiale per buona parte del II secolo d.C., e non soltanto un luogo di magazzini, come finora si riteneva; forse, era anche in relazione con la celebre flotta di Miseno, nel golfo di Napoli, le cui navi potrebbero essere state ricoverate o riparate proprio qui: anche in questo caso, lo fanno supporre iscrizioni che menzionano proprio quei marinai, trovate sia in città, sia sul sito stesso degli scavi.
Il colpo d'occhio dell'edificio era certamente del tutto impressionante: simile a quello delle analoghe navate dei Mercati Traianei a Roma, che sono assolutamente coevi. Per trovare qualcosa di analogo, occorre recarsi sulle rive del Tevere, dove, da 300 anni prima, c'era il Porticus Aemilia, le cui rovine sono ancora visibili a Testaccio: lungo 487 metri, 50 navate di 60 metri, alte quasi otto e mezzo. I piloni ritrovati indicano che, alle estremità, le navate aperte sui due bacini terminassero con altrettanti archi di sicura imponenza: i piloni estremi sono infatti maggiori, fino a tre metri di lato. Ma adesso, sarà la nuova campagna di scavi, che si svolgerà ad ottobre, a fornire maggiori chiarimenti. Perché la navata riscoperta muta aspetto e funzioni nell'uso successivo: prima, si edificano una serie di stanze contigue, tra la fine del II e l'inizio del III secolo; nel V, diventano granai; e nella prima metà del VI, durante le guerre tra i Bizantini e gli Ostrogoti, vengono demolite. Oltre che dagli archeologi inglesi, che le hanno compiute, tutte queste importanti scoperte sono studiate dai colleghi italiani della soprintendenza di Roma, diretta da Annamaria Moretti, e da Angelo Pellegrino, il suo fiduciario in loco: ricostruire le vicende del «porto a mare» dell'Urbe (quello fluviale era sul Tevere, a Testaccio), è fondamentale e non semplice. Dapprima, c'era uno scalo a Ostia; poi, il bacino di Claudio, terminato sotto Nerone; infine quello esagonale di Traiano, che, nonostante gli sforzi, lo Stato non riesce a possedere: è tuttora privato, degli Sforza Cesarini, che sono imparentati con i Torlonia. Il bacino misura 358 metri per ogni lato, ha una diagonale di 716; era profondo alme-no cinque metri, e poteva ospitare 200 e forse più navi; forse è opera di Apollodoro di Damasco. Tutto attorno, sono stati riportati alla luce numerosi immobili; questo Arsenale (non lontano dall'aeroporto, e ciò ne rende possibile una visita anche a chi vi transita) è solo il più recente tra loro; ma certamente, uno dei più importanti. Le sculture rinvenute sul posto nell'Ottocento sono nella collezione Torlonia: era un museo a Porta Settimiana chiuso negli Anni '50, per ricavarne appartamenti; quindi, ora sono invisibili: anche uno splendido rilievo che narrava la vita dello scalo. Sia il Porto di Claudio, sia quello di Traiano possedevano un faro, probabilmente quadrangolare, composto di tre blocchi sovrapposti, su cui veniva acceso un fuoco, visibile, dice qualcuno, da una distanza di 45 chilometri: però, nessuno dei due, purtroppo, esiste più. Per Svetonio, uno poggiava su una nave affondata. Adesso, questa scoperta potrà gettare luce maggiore sulla struttura, e sul suo uso; sapremo qualcosa d'altro su uno snodo da cui è sicuramente derivata la potenza dell'Urbe sul mare e, quindi, sul mondo allora conosciuto. Merci e usi militari: forse, l'arsenale delle loro navi era proprio qui.

martedì 15 novembre 2011

Quando i romani crearono il vino

La Repubblica 9.11.11
Un libro ricostruisce l'origine dei vitigni moderni
Quando i romani crearono il vino
Marco Aurelio Probo incaricò i legionari di piantare viti nei territori conquistati. È uno dei punti del saggio di Giovanni Negri e Elisabetta Petrini
di Marino Niola

C´è una cosa che gli Italiani non sanno e che i Francesi non vogliono sapere. Che a fare la gloria dei grandi vini d´Oltralpe sono stati i Romani. Con buona pace dei Galli e di Asterix. Lo dicono Giovanni Negri e Elisabetta Petrini, autori di Roma caput vini. La sorprendente scoperta che cambia il mondo del vino, (Mondadori, pagg. 216, euro 18). Gli autori, sulla scorta di uno screening genetico di tutta la viticultura europea, riscrivono la storia del vecchio mondo in chiave enologica. Dando a Cesare quel che è di Cesare. Se è vero, infatti, che i Greci sono stati i primi esportatori di grandi crus, come il leggendario rosso di Chios, è solo con l´avanzata delle legioni capitoline che la vite è arrivata ai quattro angoli del globo. E il vino è diventato un consumo di massa, una bevanda per tutti.
Grazie a una pensata geniale di Marco Aurelio Probo, imperatore tra il 276 e il 282 dopo Cristo, che in soli sei anni ha ridisegnato la geografia enogastronomica del mondo antico e posto le basi di quella moderna. Trasformando i suoi legionari in vignaioli con il compito di piantare viti in tutti i territori conquistati. Per produrre in loco il vino per le truppe tagliando drasticamente i costi del trasporto. In questo modo la Pannonia, l´Illiria, la Dalmazia, la Gallia, l´Iberia diventano altrettanti chateaux, tutti al servizio dell´imperatore. Che si può considerare il primo esempio di grande propriétaire récoltant.
E che tutte le grandi bottiglie del vecchio continente, dalla Borgogna alla Mosella, dal Bordolese al Reno discendano dai gloriosi tralci quiriti lo confermano i loro nomi. Che gli autori ripassano in rassegna facendo apparire dietro denominazioni apparentemente autoctone una discendenza che più latina non si può. A cominciare dall´etichetta più prestigiosa del mondo, quella Romanée Conti che prende l´appellativo dal fazzoletto di terra che i Borgognoni chiamarono romana per mostrarsi grati all´imperatore Probo. E l´aristocraticissimo Mersault non è altro che il muris saltus, letteralmente salto del topo. Mentre lo Champagne deriva dalla parola campus, la stessa da cui viene Campania. Che fu la terra del Falerno, del Cecubo e del Surrentinum, le più esclusive appellations dell´antichità. Insieme alla falanghina che era il vino di pronta beva per le falangi. Una sorta di razione kappa per tenere alto l´umore della truppa.
Tanti doc per una sola origine. L´infinita fantasmagoria di colori, odori, sapori della tavolozza enologica contemporanea insomma discende quasi esclusivamente da uno stesso ceppo.. Che i Romani chiamano semplicemente nostrum, come dire nostrano. E che nel medioevo, diventerà Heunisch che in tedesco vuol dire la stessa cosa. Una specie di Adamo dei grappoli che troverà la sua Eva nel Frankisch, che significa semplicemente Altro, forestiero. Dal matrimonio nascerà il 75 per cento dei vitigni europei, dallo Chardonnay al Pinot, dal Traminer al Sauvignon, dalla Schiava al Nebbiolo di Dronero. Figli ma anche figliastri. Che spesso hanno altrettanta fortuna degli eredi legittimi. Un esempio per tutti, il Chianti così detto dal gentilizio etrusco Clanti, letteralmente figliastro.
Mettendo insieme storia e genetica, gli autori ricostruiscono l´intero albero genealogico del nettare di Bacco. Ma anche le ragioni sociali della sua irresistibile ascesa. Che ne fa la bevanda simbolo dell´imperialismo romano. Esattamente come la Coca Cola lo è di quello americano. E proprio nella distanza tra il succo della vite e la bibita alla cola Negri e Petrini misurano la distanza tra l´impero di ieri e quello di oggi. Fra Roma e New York. Fra Manhattan e i fori. Fra i lupanari di Pompei e le slots di Las Vegas. Fra Dioniso e Babbo Natale. Fra fornicatio e Californication. Insomma tra una civiltà dove le bollicine sono l´effetto di un fermento divino e un´altra dove è tutta questione di bicarbonato.

Pianta di una casa romana


Pianta di una casa romana.

domenica 13 novembre 2011

Il carro della Regina riemerge dagli scavi

Il carro della Regina riemerge dagli scavi
Marco Gasperetti
Corriere della Sera – Roma 24/9/2011
TARQUINIA — Il carro era sepolto da strati di terra e roccia calcarea nell'area archeologica della Doganaccia a Tarquinia. Un tesoro, per la rarità del ritrovamento e per la storia che ci potrebbe raccontare 2600 anni dopo, scoperto dagli archeologi dell'Università di Torino e dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro del ministero. «È un carro di una nobile donna etrusca - spiega Alessandro Mandolesi, direttore degli scavi - e la sua conservazione è molto buona». E' stato trovato all'interno di una tomba del Tumulo della Regina, uno scrigno archeologico ancora da esplorare. Qui, nei giorni scorsi, è stata scoperta la statua di una sfinge, alta quasi due metri e una sorprendente agorà etrusca Un luogo dunque evocativo e scaramantico (l'unione tra vivi e morti) per le sorti dell'antica Tarquinia. Con la nuova scoperta, quella del carro, si aprono nuove ipotesi. «Abbiamo la certezza che fosse un carro femminile etrusco - continua Mandolesi - con fattura e fregi nobili. E stato scoperto insieme a ceramiche finemente lavorate e la proprietaria apparteneva certamente all'alta nobiltà». Una regina? Gli archeologi non si sbilanciano anche se stanno valutando un'ipotesi molto suggestiva. Quel carro poteva appartenere a Tanaquilla (o Tanaquil) per alcuni moglie di Tarquinio Prisco, per altri la madre. Intanto dalle tombe sono affiorando affreschi atipici, probabilmente i più antichi mai scoperti a Tarquinia, risalenti al VII secolo avanti Cristo.

mercoledì 9 novembre 2011

Trovati i resti di un tempio dedicato ad Attis, Cibele e Bellona

Trovati i resti di un tempio dedicato ad Attis, Cibele e Bellona
25-09-11, IL TIRRENO Cecina

VADA. Si è conclusa ieri l’annuale campagna di scavi archeologici a San Gaetano di Vada, cominciata il 13 settembre, a cui hanno partecipato una ventina tra studenti, laureati e docenti dell’Università di Pisa e altrettanti studenti del liceo Cecioni di Livorno. «Un vivace cantiere di ricerca scientifica e di sperimentazione didattica», lo definisce Edina Regoli in una nota dell’ufficio stampa del Comune. Che sottolinea «il pieno impegno dei rispettivi enti a proseguire con la consueta sinergia le indagini archeologiche, pur senza nascondersi le difficoltà del momento». Difficoltà, dal mancato taglio dell’erba all’assenza di vitto e alloggio per gli studenti, già segnalate durante un recente sopralluogo.
Alla visita hanno partecipato il sindaco Franchi, gli assessori Pia e Agostini; per la società Solvay De Lorenzo e Sacchi; la professoressa Menchelli dell’Università di Pisa, co-direttrice degli scavi con la prof. Pasquinucci. Il funzionario di zona della Soprintendenza archeologica, Lorella Alderighi, aveva visitato il sito mercoledì. «Non è certamente un ripiego - sottolinea ancora la nota stampa del Comune - ma al contrario un ampliamento del progetto di ricerca, da svolgersi in contemporanea con la prosecuzione dello scavo del quartiere portuale, l’idea di una grande campagna di indagini geo-radar degli spazi non edificati da San Gaetano (che rappresenta il punto più settentrionale dell’antico porto di Vada Volaterrana) a piazza Garibaldi, dove scavi ottocenteschi misero in luce numerosi edifici privati e pubblici dell’antico insediamento. La campagna consentirebbe di definire meglio la topografia del centro portuale».
La campagna scavi appena conclusa ha indagato «su un edificio tri-absidato, per il quale il direttore del cantiere, Paolo Sangriso, ha avanzato la suggestiva ipotesi di un tempio destinato alla triade divina Attis, Cibele e Bellona, le prime due divinità orientali particolarmente venerate nei porti romani frequentati da mercanti dell’Est, la terza, antica dea della guerra indigena». Nella nota stampa Regoli precisa infine che «le strutture archeologiche messe in luce, spesso delicate e in cattivo stato di conservazione, vengono ricoperte con tessuto non tessuto e reinterrate per motivi di sicurezza, in attesa di un loro restauro e della valorizzazione dell’intera area archeologica». Sarebbe per questo che le visite vengono limitate alla sola campagna di scavi.

martedì 1 novembre 2011

Edifici di epoca romana all’ex Nirvana

Edifici di epoca romana all’ex Nirvana
mercoledì, 5 ottobre 2011 corriere adriatico

Il professor Lepore: “Reperti eccezionali”. Anche il sindaco all’ispezione: “Mi sono emozionato”

Senigallia Due edifici di epoca romana sepolti sotto la vecchia palestra Nirvana. Forse abitazioni. Una scoperta ritenuta di eccezionale rilevanza perché va a ridisegnare il confine dell’agglomerato urbano finora conosciuto. Ieri mattina il sopralluogo nel cantiere di via Baroccio da parte degli esperti per valutare la portata del ritrovamento. I lavori restano fermi. Gli unici all’opera, armati di scalpellino, sono gli archeologi ed i ricercatori che stanno scavando intorno alle pareti che stanno riemergendo dalla terra. “Si tratta di reperti davvero eccezionali – spiega il professore Giuseppe Lepore del Dipartimento di archeologia dell’Università di Bologna – che vanno a ridisegnare i confini dell’antica città romana finora conosciuta. Una scoperta che ci ha sorpreso perché non credevamo potesse nascondersi qualche traccia anche in via Baroccio. Si rimette un po’ in discussione quanto finora era in nostra conoscenza”.

La scoperta

Il ritrovamento è stato effettuato ad alcuni metri sotto il livello del mare. Ad una profondità tale che, solo grazie alle pompe aspiranti in funzione ventiquattro ore su ventiquattro, è possibile scongiurare l’allagamento di quello che da ieri è diventato un sito archeologico a tutti gli effetti. Solo provvisoriamente perché in tempi rapidi l’impresa dovrà essere messa nelle condizioni di riprendere i lavori. “Voglio ringraziare l’imprenditore Umberto Marcantoni, titolare della Sema Costruzioni che sta operando per realizzare l’opera, – interviene il sindaco Mangialardi – perché avrebbe potuto far finta di niente e ricoprire tutto con una gettata di cemento. Nessuno si sarebbe accorto e invece ha dato alla città la possibilità di conoscere un altro pezzo della sua incredibile storia”.

Indagini sul sottosuolo

Il Comune aveva imposto le indagini georadar sul sottosuolo che non avevano dato riscontri. I reperti si trovano infatti ad una profondità che sarebbe rimasta inesplorata. Solo scavando gli operai si sono trovati di fronte qualcosa di strano, poi risultati due edifici.

Scavi in corso

“Sarebbero bastati due colpi di benna per ridurre in frantumi quei reperti – aggiunge il professore Lepore – ringrazio anch’io la sensibilità dell’imprenditore. Quello che apparentemente può sembrare un disagio, per via della momentanea sospensione dei lavori, in realtà è una risorsa per la città. Adesso stiamo lavorando per riportare completamente alla luce le due strutture e non è escluso che possa emergere anche dell’altro”. Qualche giorno per indagare ancora nella speranza che le sorprese non siano finite. “Troveremo senz’altro il modo di valorizzare tutto attraverso una sorta di musealizzazione – aggiunge il sindaco – in accordo con la proprietà, come già avvenuto per via Cavallotti. E’ stato emozionante assistere a questi ritrovamenti che hanno stupito tutti. Non credevamo proprio di trovare qualcosa anche qui, a pochi metri dal confine dell’antico torrente Penna che passava dove ora c’è l’incrocio”.

Il pellegrinaggio

La notizia è trapelata nel weekend. In città non si parlava d’altro ma con cautela. Nessuna conferma, solo tante indiscrezioni, e per molti una delle tante leggende metropolitane. Domenica è arrivata la conferma dal sindaco. Anche lui in un primo momento titubante, ha poi avuto riscontro positivo. L’eco degli ultimi giorni alla notizia ha portato ad un vero e proprio pellegrinaggio di gente curiosa che si è affacciata dal cantiere. Molti anche dalle finestre e dai balconi delle case adiacenti che sul ritrovamento hanno una visione privilegiata. Le fotografie sono iniziate a circolare anche su facebook dove tutti commentano il fascino di quel pezzo di storia rimasto sepolto dalla polvere per così tanto tempo. Comprensibile lo stupore accompagnato dall’emozione nel poter vedere da vicino, sporgendosi magari dalla recinzione, quei reperti ancora accessibili solo agli addetti ai lavori.

Vita nel Foro - da un disegno murale di Pompei


Vita nel Foro - da un disegno murale di Pompei.