sabato 31 luglio 2010

Sos per una villa romana da salvare. Il complesso rischia di essere interrato fra i palazzi in costruzione dell’I-60

Sos per una villa romana da salvare. Il complesso rischia di essere interrato fra i palazzi in costruzione dell’I-60
Ester Palma
Corriere della sera 24 lug 2010 Roma

Una grande villa romana con mosaici, una strada e una necropoli, un complesso ben conservato che rischia di finire sotto la più classica delle colate di cemento.

Succede fra l’Ardeatina e la Laurentina, dove i resti romani sono venuti alla luce durante i lavori di scavo di un grande complesso edilizio, l’I-60. L’idea iniziale era quella di preservare il complesso, per farne un’area di esposizione: «La valorizzazione ben studiata di aree archeologiche in questi contesti lega la città storica alle nuove periferie, creando una continuità culturale e un legame più intenso con il territorio, spogliando le aree cittadine periferiche dalla sensazione che queste siano solo anonimi dormitori e offrendo ai cittadini zone di socializzazione alternative agli inevitabili centri commerciali», avevano scritto gli archeologi nelle loro relazioni.

«È un luogo molto bello, grande e ben conservato— racconta Alessandro Lisci, il fotografo contattato dal locale comitato di cittadini per riprendere le immagini del sito —. Varrebbe la pena di renderlo visitabile per tutti».

Pare però che la Soprintendenza archeologica di Roma non abbia i fondi per salvare la villa e gli altri resti: il destino dell’eventuale piccolo parco archeologico sarebbe segnato. Tutto sarebbe ricoperto e di fatto perduto fra i palazzoni che stanno per nascere intorno. Ma i cittadini della zona non si rassegnano. Hanno dato vita a un coordinamento e chiedono di fare dell’area appena scoperta un sito archeologico. E sono decisi a non abbandonare la battaglia appena iniziata.

Una necropoli romana sotto il park di piazza Rabin

Una necropoli romana sotto il park di piazza Rabin
Davide D’Attino
27 lug 2010 Corriere della Sera edizione Corriere di Padova

L’assessore alla cultura: «Abbassare i toni, ma prima della riqualificazione tenere conto del parere di Venezia»
La scoperta dei tecnici della Soprintendenza. Colasio: «Doveroso tutelare i resti»

PADOVA - Piazza Rabin, ennesimo colpo di scena. Proprio nell’area in cui dovrebbe sorgere un parcheggio sotterraneo da 600 posti auto, ci sarebbero i resti di una necropoli romana, databile tra il I secolo a.C. e il II d.C. Per di più, l’antico cimitero si troverebbe lungo il tracciato meridionale della via Annia, la grande strada (anch’essa romana) che collegava l’odierna cittadina friulana di Aquileia con il territorio oggi occupato da Adria, e che tagliava appunto Padova da nord a sud. La scoperta, nella parte dell’ex foro boario di Prato della Valle che si affaccia su via Carducci, sarebbe stata fatta nei giorni scorsi dai tecnici della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto che, ormai da oltre un mese, stanno monitorando gli scavi «preliminari» (per saggiare la compattezza del terreno e proprio l’eventuale esistenza di reperti storicamente significativi) compiuti dalle imprese interessate alla realizzazione del posteggio interrato: la Fratelli Gallo Srl, la Cavagnis Costruzioni Srl e la Parcheggi Italia Spa, senza dimenticare la «consulenza» della Sinloc Spa. prevedrebbe non solo la costruzione del parcheggio sotterraneo, ma anche il recupero «commerciale» del frontone dell’ex foro boario: in sintesi, la cosiddetta «trasformazione urbanistica» dell’area del Prato, già concessa dal Comune ai privati, però avversata dalla Lega Nord e da più di qualche esponente della maggioranza che governa Palazzo Moroni e di recente «bocciata», almeno nella sua prima versione, dalla Soprintendenza per i beni architettonici del Veneto orientale. «Se l’esistenza di questa necropoli verrà confermata - esce allo scoperto l’assessore comunale alla Cultura, Andrea Colasio - Sarà ovviamente doveroso, prima di mettere in moto qualsiasi tipo di riqualificazione, portare via i resti romani per poi catalogarli ed esporli al pubblico. Almeno per quanto mi riguarda, infatti, prima viene la tutela storica dei monumenti di una città e poi, eventualmente, i lavori pubblici e l’urbanistica...».
Gli scavi I sondaggi in piazza Rabin prima del blocco

L’assessore Colasio entra così nel merito delle polemiche interne al Pd che, sul futuro di piazza Rabin, hanno visto uno contro l’altro il capogruppo a Palazzo Moroni, Gianni Berno, e il presidente della commissione Cultura, Giuliano Pisani: «Suggerirei a tutti di abbassare i toni - argomenta Colasio - Fermo restando che, pur trattandosi di un progetto privato, il Comune non può e non deve abdicare o lavarsene le mani. Anche perché non stiamo parlando di una zona periferica della città, ma della sua vetrina più splendente, cioè Prato della Valle. Insomma, non siamo più all’epoca dei soviet, dove il comitato centrale decideva di produrre soltanto patate per i successivi cinque anni e tutti dovevano essere d’accordo... Dunque - continua l’assessore - Ben venga la valorizzazione di un’area oggi poco sfruttata, ma compatibilmente con i pareri e le prescrizioni della Soprintendenza che, com’è giusto che sia, lavora sulla memoria e non su altro...». Chiusura col «botto»: «Ad esempio - dice Colasio, riferendosi al summit di venerdì scorso tra Comune e privati - invece di incontrarmi con i costruttori, io avrei prima convocato una riunione di giunta e di maggioranza per decidere politicamente il da farsi...»

Gli eccezionali scavi sulla Prenestina rivelano le vicende di una spietata repressione politica

Gli eccezionali scavi sulla Prenestina rivelano le vicende di una spietata repressione politica
MARIO TORELLI
VENERDÌ, 30 LUGLIO 2010 LA REPUBBLICA Roma

Così 2500 anni fa Roma punì la città ribelle

"Aequimelium [si chiama il luogo di Roma] per il fatto che la casa di Melio è stata spianata a spese pubbliche, poiché questi (ossia Spurio Melio) voleva impadronirsi del regno".

La telegrafica descrizione che nel suo monumentale lavoro sulla lingua latina il grande antiquario romano Varrone fornisce del nome di un luogo di Roma ai piedi del Campidoglio, illustra una prassi della giovane repubblica romana: abolita la monarchia in seguito alla cacciata dei Tarquini, secondo la tradizione nel 509 a. C., si decise di respingere con tutte le forze qualunque tentativo di sovvertire la costituzione patrizia e di ripristinare la monarchia. La legge volle che si concellasse con un rituale dagli evidenti contorni religiosi la casa di chiunque attentasse alla repubblica, lasciando come monito al suo posto uno spazio vuoto, come era appunto l´Aequimelium, "lo spiazzo di Melio", a segnare il sito della casa di questi distrutta nel 434 a. C, oppure un tempio, come è stato per le case di Valerio Publicola (circa 500 a. C.), di Spurio Cassio (485 a. C.) e di Manlio Capitolino (384 a. C.). Di questi drastici esempi di repressione politica, di norma preceduti dall´esecuzione degli abitanti di quelle case, rei di alto tradimento, avevamo notizie dettagliate dai resoconti storici, ma nessuna testimonianza archeologica.

Oggi, grazie ai fortunati scavi condotti da Stefano Musco, della Soprintendenza archeologica di Roma diretta da Giuseppe Proietti, possiamo dire che la prima volta abbiamo sotto gli occhi una straordinaria testimonianza di "cancellazione della memoria di chi attenti alla tirannide", eventi ricordati più volte per il turbolento primo secolo e mezzo di vita di Roma repubblicana.

Le esplorazioni in questione sono solo il capitolo più recente di un progetto di ricerca pluriennale studiato per l´area dell´antica città di Gabii, gloriosa città latina sulla via Prenestina, ora sobborgo minacciato dall´espansione edilizia della Capitale, e messo in atto con la collaborazione di grandi équipes di tre Università, quelle italiane di Roma Tor Vergata e della Basilicata, e quella statunitense di Michigan, rispettivamente guidate dai professori di archeologia Marco Fabbri, Massimo Osanna e Nicola Terrenato.

Mentre il gruppo americano si è concentrato con successo su scavi in estensione miranti a chiarire l´impianto e la storia urbanistica di quella città, alle due équipes italiane si deve la sensazionale scoperta che documenta un evento storico parallelo a quello che la tradizione ricorda per Roma per i colpevoli di alto tradimento: il seppellimento rituale della loro dimora.

A Gabii, una città legata a filo doppio a Roma, alla fine del VI secolo a. C. è stato cacciato il re e ne è stata cancellata la residenza: e che fosse la reggia della città, sede dell´ultimo re di Gabii, e non la casa di un occasionale eversore dell´ordine costituito, ci viene in qualche modo confermato da una terracotta architettonica con l´immagine del Minotauro, dello stesso stampo di quella adoperata nella Regia di Roma, venuta in luce con pochissimi altri oggetti in uno scavo dove per evidenti ragioni cerimoniali chi ha distrutto l´edificio ha evitato di lasciare anche uno spillo.

La distruzione è stata, come si è detto, sistematica. Smontato il tetto (tegole e terrecotte architettoniche devono essere state sepolte in una buca al momento ancora non scoperta) e vuotato di ogni suppellettile l´edificio, chi ha condotto l´opera di distruzione ha realizzato intorno alla costruzione un colossale muro di contenimento ad andamento poligonale e ha riempito infine il tutto di pietre, creando così qualcosa tra il tumulo e il piazzale, insomma un vero e proprio Aequimelium di Gabii.

Questa complessa operazione ci non ha solo consentito di "vedere" un´azione politico-religiosa arcaica di grande significato storico, ma ci ha permesso di toccare con mano una residenza gentilizia monumentale di VI secolo a. C. costruita in una raffinata tecnica edilizia a lastrine sovrapposte di lapis Gabinus, il celebre tufo di Gabii, e giunta a noi in uno stato di conservazione a dir poco stupefacente. Quando si è fortunati - ma è cosa assai rara - nello scavo di abitati arcaici, come è il caso di siti etruschi minori, troviamo case conservate nelle fondamenta o al massimo per un solo filare di blocchi dell´alzato. La residenza di Gabii, la cui pianta a tre vani in sequenza preceduti da un cortile porticato è identica a quella della Regia di Roma, ha i muri conservati per due metri e oltre, in cui sono giunte fino a noi anche le porte ad arco delle stanze minori. E´ auspicabile che presto i cittadini di Roma possano avere un´emozione pari a quella che abbiamo avuto noi nel contemplare un edificio di prestigio di oltre 2500 anni fa giunto a noi quasi intatto.

domenica 11 luglio 2010

Macché veleno Cleopatra fu vittima di Ottaviano

l’Unità 8.7.10
Macché veleno Cleopatra fu vittima di Ottaviano
di Benedetto Marzullo

Un recente scoop (la Repubblica, 28 giugno, p. 37) proclama che «Non fu l’aspide, Cleopatra morì bevendo cicuta». Due studiosi, ovviamente americani, lo assicurano: un antichista, col debito sostegno di un tossicologo. Induttivamente, essi escludono che la regina ricorresse al veleno, consapevole che il tossico, tuttavia sperimentato a quel tempo (nel bene e nel male), «avrebbe procurato una...morte, ma solo dopo sofferenze atroci, salvo complicazioni, un salvataggio inatteso. Ripiegò quindi su una pozione di oppio e cicuta (!), addirittura lasciò istruzioni di (per) costruire la leggenda del morso del serpente, per restare nel ricordo della eternità». Espedienti di sorprendente vacuità: ingiuriosi per una regina, per una donna, dotata di senno, in verità di autentico senso della storia, di leggendario talento. «Menzogna gigante (in italiano gigantesca), ma via che cosa non si perdona a una donna bellissima e geniale», conclude tollerante l’articolista. La parola «genialità» non basta per fare storia, tanto meno per accreditarla, farisaicamente.
Che Cleopatra sia morta è indiscutibile, fantasioso però che provvedesse personalmente ad imbastire un copione da operetta, attuandone regia ed interpretazione. Della sua esistenza avventurosa, femminilmente chisciottesca (sembra il prototipo della drag queen), poteva dirsi soddisfatta: avrebbe continuato imperturbata ad esibirla (e a goderne), salvo eventi imprevedibili. Culmine delle sue aspirazioni era un impero planetario, miraggio della intera dinastia, ostinatamente perseguito dal suo capostipite Alessandro, meritamente designato Magno, stroncato anche lui dalla morte (naturale?) a poco più di trent’anni, in congiunture in apparenza non diverse dalla straordinaria Cleopatra: essi tentano una impresa ecumenica, fantasmagorica per l’Occidente, destinata a travolgerli. La dimensione, straordinaria, ma femminile di Cleopatra, risulterà delirante: della vicenda si impadronirà il cinema, i ristretti confini drammaturgici vengono forzati dalla ingorda filmografia, a riattivare se non esacerbare la commozione provvederanno sopravvenuti: spesso incauti studiosi, avventurieri massmediatici.
Non resta che rinunciare ad affabulatorie divagazioni, ritornare alle fonti, per quanto trasmesse da testimoni postumi, talvolta perplessi, superficiali. Plutarco (il maggiore, un secolo più tardi) di continuo avverte della aleatoria tradizione. Tra romanzeschi dettagli, riferisce che la regina, dopo una estrema visita dello sfortunato Antonio, rimpiange tra le innumerevoli sofferenze la stragrande brevità del tempo vissuto lontana (?) da lui, provvede ad una energica toilette: si abbandona tuttavia ad un banchetto «sontuoso» (Plutarco non saprebbe usare più acconcia sommarietà). Solo interrotto all’arrivo di un pastore, che le consegna il cesto dei fatidici fichi (abbondano, del resto, in Egitto), licenzia tutti, salvo le rituali due ancelle, scrive un biglietto ad Ottaviano. Che arriva, fulmineamente. Intuisce la tragedia, spalanca le porte, la catastrofe è compiuta: Cleopatra giace morta, su un letto ovviamente d’oro, regalmente addobbata.
Delle figliole, una era spirata ai suoi piedi, l’altra semisvenuta, il capo rovesciato, cercava di acconciarle il diadema sulla testa. Qualcuno potrebbe dirle, irritato: «Stai facendo bene, ragazza?» E lei: «Anzi benissimo, come si addice a chi discende da tanta dinastia». Non disse altro, crollò ai piedi del letto. Il duetto appare dovuto all’ingegno di Plutarco, farisaico pennaiolo.
Le vittime della sceneggiata sono indissolubilmente tre, un impreveduto eccidio: unico il mandante, identici gli esecutori, due involontari testimoni. Ad ordinarlo è indubitabilmente il giovane Ottaviano, definitivamente sbarra le porte dell’Oriente, lo riunisce con l’Occidente. Verrà consacrato col risonante nome di Augusto (27 a. C.), il primo degli imperatori romani: a dispetto di Cleopatra, della sua stravolgente bellezza.

lunedì 5 luglio 2010

Dagli scavi spunta una fucina romana «Straordinaria»

Dagli scavi spunta una fucina romana «Straordinaria».
Mentre il Montello lancia la viabilità sostenibile
Massimo Favaro
CORRIERE DEL VENETO 4 lug 2010 Vicenza

Scoperte archeologiche e riscoperte ambientali. Montebelluna, nel cuore dell’area pedemontana tra i fiumi Brenta e Piave, non è solo uno dei più importanti centri paleoveneti. Un recente ritrovamento avvalora infatti il suo sviluppo in epoca romana: la quinta campagna di scavi nella frazione di Posmon, conclusasi il 18 giugno scorso, ha portato alla luce un’antica fucina. «Gli ultimi scavi ci hanno riservato una sensazionale scoperta», esulta l’assessore alla Cultura Francesco Da Riva.

«Il rinvenimento è importante per la stretta connessione con un’area geografica che nei secoli ha mantenuto - ricorda Da Riva - la tradizione del lavoro del ferro». Gli scavi, avviati nel 2006, hanno visto coinvolti l’Università di Padova, il Comune di Montebelluna, la Soprintendenza regionale e archeologica e la Fondazione Cassamarca.

Nell’ultima campagna gli studiosi hanno riconosciuto la posizione originaria della forgia e del ceppo che sosteneva l’incudine, il deposito del carbone da legna, le tracce di un originario piano di lavoro del ferro, permettendo di chiarire la funzione del complesso, vero e proprio

Sstabilimento industriale ante litteram, in funzione tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. L’area, che venne costruita a sua volta al di sopra di una precedente necropoli, è destinata ad essere protetta da una copertura e trasformata in uno spazio espositivo. In attesa dei fondi necessari, i reperti saranno conservati nel museo cittadino di storia naturale e archeologia. «Speriamo ora di poter rendere quanto prima fruibile - sottolinea Da Riva - la scoperta a tutta la cittadinanza».

Le scoperte si susseguono a Montebelluna: la scorsa estate erano state individuate le fondamenta di una casa colonica del reticolato romano con un viottolo lastricato. Questo ritrovamento, ancora al vaglio della Sovrintenza, è avvenuto nella zona Campilonghi a sud del territorio comunale. Un’area destinata ad attività di cava e penalizzata inoltre per l’attraversamento della Superstrada Pedemontana. La natura rimane però uno dei caratteri distintivi della cittadina, dove sono presenti circa 550 mila metri quadri di parchi pubblici. «È uno dei nostri punti di forza», sottolinea il vicesindaco con delega all’Ambiente Franco Andolfato.

Il «polmone verde» del territorio comunale è però il Montello. Un passo fondamentale nella sua valorizzazione è la rete di percorsi segnalati, a piedi e in bicicletta. «Il Montello è la porta di ingresso nell’Alta Marca e in collaborazione con i cinque comuni dell’area intendiamo creare - spiega Giampietro Comolli, direttore dell’associazione Alta Marca - una continuità di percorsi che parlino dell’ambiente e della storia di questo territorio». Fondamentale sarà anche il turismo enogastronomico. «Nell’Alta Marca contiamo 18 mila partite Iva collegate al sistema gastronomico ed enologico, delle quali una forte concentrazione si trova sul Montello, che ha una particolare tradizione di connubio - aggiunge Comolli - tra la cucina rurale e la cucina del mare, essendo stato il primo territorio visitato dai veneziani».

Il Montello è, inoltre, una delle aree predilette dai cicloturisti trevigiani: dopo gli europei di Mountain Bike 2010, quest’arena naturale ospiterà, il prossimo anno, i campionati mondiali.

Per Montebelluna la bicicletta è una delle possibili soluzioni per una mobilità più sostenibile. La città è stata tra le prime del Veneto a lanciare un servizio di «bike sharing», mentre una nuova pista ciclopedonale si snoda lungo il Canale Brentella per circa sei chilometri. Un inedito percorso, insieme rurale e cittadino, che alla conclusione dei lavori permetterà di attraversare l’intera Montebelluna da Est ad Ovest.

venerdì 2 luglio 2010

Una casa d’epoca romana scoperta a Borgo Santa Rita

Una casa d’epoca romana scoperta a Borgo Santa Rita
SARA LANDI
SABATO, 26 GIUGNO 2010 IL TIRRENO - Grosseto

Archeologia. Campagna di scavi delle università italiane e straniere

Databile al I secolo avanti Cristo era usata solo stagionalmente

La storia romana come mai è stata raccontata, dal punto di vista dei poveri e dei contadini che costituivano il 90 per cento della popolazione. E’ questa la filosofia che anima un importante progetto internazionale di scavi in corso nel territorio di Cinigiano a cura delle Università di Siena e Grosseto insieme a quelle statunitensi di Cornell (New York) e Pennsylvania e all’Università di Cambridge. L’ultimo ritrovamento in ordine di tempo è venuto alla luce nei terreni del Podere San Martino in località Borgo Santa Rita.
Si tratta dei resti di un’abitazione con tutta probabilità usata solo stagionalmente per seguire le attività dei campi e databile tra il II e il I secolo a.C. Una piccola casa ad unico ambiente costruita su uno zoccolo in pietra calcarea e macigno con pareti d’argilla e tetto probabilmente costruito in materiale deperibile, legno o paglia, mentre il pavimento era fatto in ciottoli e frammenti di laterizio pressati.
Ora l’obiettivo è di ricostruire com’era fatta, partendo dai reperti trovati nel sito tra cui ossa di animali e frammenti di ceramica, e capire come viveva chi la costruì nella sua quotidianità: cosa mangiava, che attività praticava, che vegetazione lo circondava. Lo scavo, cosa possibile in siti non monumentali, è stato condotto in appena otto giorni, a tempo dunque di record, in piena collaborazione con il proprietario del terreno, Settimio Machetti, e non appena ci sarà il via libera della Soprintendenza verrà ricoperto mentre continueranno lo studio e l’analisi dei reperti trovati.
«Abbiamo fatto prima una ricognizione di superficie - spiega l’arcehologa Maria Elena Ghisleni, coordinatrice del progetto - su pietre e frammenti portati alla luce dalle operazioni di aratura e le indagini geofisiche col magnetometro hanno confermato che sotto c’era un deposito archeologico».
E’ bastato scavare non tanto in profondità per trovare il perimetro delle pareti dell’abitazione tardo repubblicana e la sensazione è che anche il proseguimento della campagna di scavi in altri siti del territorio comunale consentirà ulteriori interessanti ritrovamenti per scrivere la storia antica di Cinigiano e della sua gente. Il territorio infatti, dicono gli esperti, è molto ben preservato sul piano archeologico e geologico e le attività agricole non hanno intaccato i depositi sotterranei.
Nel progetto crede molto l’amministrazione comunale come ha detto l’assessore alla cultura Romina Sani: «Ringrazio la dottoressa Ghisleni, la professoressa Kimberly Bowes, responsabile scientifica del progetto, e tutto il team di ricercatori e studenti. Vogliamo far conoscere alla popolazione e in particolare alle scuole i risultati di questo lavoro di ricerca ancora in corso perché possiamo tutti riappropriarci del nostro passato e magari in un futuro dar vita ad un piccolo museo archeologico di Cinigiano».

giovedì 1 luglio 2010

Carico di anfore nel relitto romano

Carico di anfore nel relitto romano
GAZZETTA DEL SUD - Sicilia (01/07/2010)

Utilizzato il Rov, robot dotato di telecamera. Le ricerche riprenderanno dal 15 luglio

Peppe Paino
Panarea
Il mare dell'arcipelago eoliano continua a meravigliare anche il mondo scientifico per i grandi tesori che conserva. La sorpresa ad oltre cento metri di profondità a sud-est Panarea: due relitti di epoca romana. Di uno di essi, o meglio del suo imponente carico di anfore intatte del tipo dressel 21-22, di fabbricazione laziale, sono state mostrate ieri, nella conferenza alla Soprintendenza del mare di Palermo, le nitide quanto suggestive immagini realizzate il 24 e 25 giugno grazie all'impiego del robot Rov che attraverso internet hanno già fatto il giro del mondo e che testimoniano la sensazionalità del rinvenimento.
«Le anfore adibite al trasporto di frutta secca (ma potrebbe trattarsi anche di garum o granaglie) - ha dichiarato il soprintendente del mare, prof.Sebastiano Tusa - si trovano disposte in posizione leggermente diversa da quella originale, un probabile indizio del fatto che la nave, scivolando si sia appoggiata su un fianco. Per conoscere con precisione la natura del carico - ha proseguito Tusa - si è effettuato il prelievo di un'anfora e si procederà ad accertamenti di natura tipologica e merceologica. A una prima analisi possiamo supporre che fosse una nave annonaria, al servizio di Roma e che navigasse lungo le rotte nautiche commerciali dell'epoca, quali, per citarne alcune, Lilibeo- Roma, Milazzo-Roma».
Le anfore, tuttavia, mantengono ancora la disposizione originaria dimostrando come l'affondamento sia avvenuto probabilmente per una turbolenza marina che ha fatto imbarcare acqua alla nave facendola scivolare lentamente sul fondo. Il ritrovamento grazie alla proficua attività di collaborazione avviata da alcuni anni fra la Soprintendenza del Mare, la fondazione statunitense Aurora Trust (nell'ambito del progetto ArcheoRete Eolie) e l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) del Ministero dell'Ambiente, che ha messo a disposizione la nave oceanografica Astrea.
Proprio con il progetto Archeorete, intrapreso nel 2009, si sono fatti sensibili passi in avanti nelle ricerche archeologiche subacquee perchè per la prima volta sono state utilizzate dotazioni tecnologiche di ultima generazione. «Grazie al Rov, strumento robotizzato, dotato di telecamere, fari illuminatori e propulsori ad elica - ha spiegato Tusa -, siamo riusciti, nonostante la profondità del fondale, a ottenere immagini estremamente nitide del relitto e del carico che trasportava».
L'intera sequenza della scoperta del relitto e del recupero dell'anfora sarà oggetto di una puntata del magazine televisivo "Pianeta mare" in onda su Rete 4. Le ricerche archeologiche in alto fondale nel mare di Panarea, invece, riprenderanno dal 15 luglio, nell'ambito di Archeorete 2010, per identificare con precisione il secondo relitto ed effettuare operazioni di scavo.
L'assessore regionale ai Beni culturali Gaetano Armao nell'evidenziare l'importanza della scoperta ha annunciato la nascita del Museo del mare a Palermo e del Museo del mare antico a Gela. In tal senso sono state individuate le risorse. Ai due musei si aggiunge la proposta di inserire Mozia e Pantelleria nel patrimonio dell'Unesco e per quanto riguarda Mozia la proposta verrà istruita in gemellaggio con le isole Scilly, arcipelago della Cornovaglia in piena intesa col console del Regno Unito.
L'intento di Armao è di ridare alla Sicilia quella dimensione cosmopolita che nei secoli ha avuto «crocevia di popoli, culture, religioni. Aprire la regione alle più importanti istituzioni museali del ondo per usare la cultura come leva di sviluppo».
Di più si dovrebbe fare anche nelle Eolie. Isole che nonostante il grande patrimonio archeologico sommerso, un vero e proprio parco di relitti tra Filicudi, Panarea e Lipari e terrestre andrebbero maggiormente valorizzate. Quest'anno, ad esempio , grazie agli sforzi del direttore del Museo di Lipari, Michele Benfari è stata riaperta, dopo la chiusura dell'anno scorso la sezione museale di Filicudi Porto. E a Panarea, luogo dei recenti ritrovamenti, si trova un'altra sede del prestigioso "Bernabò Brea" che con maggiore attenzione potrebbe ritagliarsi un po' di spazio tra le effimere cronache mondane estive. Si attende, comunque, come annunciato ad aprile dal direttore generale del Dipartimento dei Beni culturali, Gesualdo Campo, l'istituzione del parco archeologico delle Isole Eolie con competenza anche sulle aree archeologiche di Milazzo e Patti.