martedì 3 novembre 2009

I resti romani di Via da Tolentino non erano solo nel cantiere sotto accusa. Le case sull'acquedotto (metà salvato, metà no)

I resti romani di Via da Tolentino non erano solo nel cantiere sotto accusa. Le case sull'acquedotto (metà salvato, metà no).
ALESSIO GAGGIOLI
LA NAZIONE – 3 novembre 2009

L'archeologa «Lì siamo riusciti a recuperarlo, ma il tratto in via Grifeo è andato perso: abbiamo trovato i pezzi nelle macerie».

Aveva tenuto botta per duemila anni, perché il calcestruzzo fatto dai romani, dicono gli archeologi dello studio professionale Ares, «è quello meglio di tutti e infatti l'acquedotto è perfettamente conservato». L’acquedotto è quello lungo sedici chilometri, unico a Firenze, che dalla Chiusa di Legri arriva fino in centro, in via delle Terme. Ha resistito duemila anni, ma è sulle colline di Careggi che ha rischiato di essere cancellato. Perché se all'interno del condominio tra via Niccolò da Tolentino e via di Quarto firmato dalla società «Le Quinte» dei costruttori Giudici (titolare del progetto l'architetto Riccardo Bartoloni, ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta su Quadra, mentre Lorenzo Giudici è indagato) l'acquedotto della Firenze romana è stato salvato, è andata peggio pochi metri più avanti. Nel 2007, a febbraio, i tecnici della Soprintendenza per i beni archeologici si accorsero di un grande piccolo dramma. In via Grifeo, dove una nota agenzia immobiliare (non collegata all'inchiesta Quadra) aveva in progetto poi portato a termine di costruire un edificio residenziale trovarono tra i cumuli di macerie il calcestruzzo dell'acquedotto. «Era tutto distrutto e scattò una denuncia penale per danno al patrimonio pubblico e archeologico racconta Carlotta Bigaglia, archeologa dello studio Ares che ha seguito assieme ad altri tra colleghi e restauratori la rinascita del vecchio acquedotto tra l'altro il processo è ancora in corso. In quella occasione arrivammo tardi, forse la Sovrintendenza non sapeva che si stesse scavando, diversamente dai condomini di via Niccolò da Tolentino. Il danno è inestimabile, il valore dell'acquedotto è altissimo». Già, i due condomini dove l'acquedotto è stato in parte riportato alla luce senza che il cantiere (i lavori sono cominciati nell'ottobre del 2006 e finiti due anni dopo circa) si interrompesse nemmeno per un giorno e lasciato in esposizione come fosse in una teca e in piccola parte lasciato senza copertura, con alcuni punti che sembrano addirittura entrare nel giardino degli appartamenti privati. «Alcune porzioni dell'acquedotto le abbiamo ritrovate intatte anche per una lunghezza di 12 0 14 metri, altre le abbiamo dovute ricostruire», spiega l'archeologa. Di solito quando viene un ritrovamento così importante la colpa del blocco dei cantieri la si attribuisce sempre agli archeologi. Ma perché in questo caso il cantiere è andato avanti così spedito? E perché è stato dato il permesso di costruire? «Ci siamo accorti dell'acquedotto quando abbiamo cominciato a scavare e a quel punto i costruttori hanno fatto tantissime varianti al progetto originario perché non si pensava che l'acquedotto andasse lungo via Niccolò da Tolentino sottolinea Bigagli e d'accordo con la Sovrintendenza è stato deciso di non spostarlo, ma di lasciarlo nella sua sede originaria, protetto dalla teca». La Sovrintendenza aveva diverse opzioni: spostare e ricostruire l'acquedotto nella zona verde, dietro ai condomini o ricostruirlo altrove. L'ultima porzione restaurata è stata terminata a febbraio di quest'anno. «Quel pezzo nel giardino di una casa? Ma in realtà è una zona aperta al pubblico poi è chiaro, ci sono le leggi del mercato continua Bigagli se fosse dipeso da noi archeologi lì non si sarebbe costruito nulla. A lavoro finito dico che sono combattuta: da un lato mi intriga che un manufatto di duemila anni corra sotto un edificio duemila anni dopo, nell'attualità. Dall'altro vorrei che in prima linea ci fossero sempre i reperti archeologici, specie se hanno un valore del genere».