sabato 24 ottobre 2009

Qui, nella casa di Tito, c’era il Laocoonte

Corriere della Sera 19.10.09
Le prove dell’archeologo Andrea Carandini: ecco dove si trovava l’abitazione del futuro imperatore
Qui, nella casa di Tito, c’era il Laocoonte
di Paolo Conti

Forse per essere buoni archeologi occorre allevare un doppio, quel­lo del detective. Altrimenti non si potrebbe approdare alle conclusioni che oggi alle 17.30 Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e docente di Archeologia classica a «La Sapienza» di Roma, esporrà agli Uffizi di Firenze in occasio­ne del restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli realizzato grazie agli Amici degli Uffizi e i Friends of Uffizi Gallery inc. La copia di Baccio fu scolpita nel 1520 dopo il ritrovamento dell’originale ellenistico del I secolo avanti Cristo (Pli­nio la attribuisce a Agesandro, Atanado­ro e Polidoro, tre scultori di Rodi) avve­nuto nel 1506 vicino alla Domus Aurea, dissepolto alla presenza di Michelange­lo e di Giuliano da Sangallo. Il clamore per la scoperta fu immenso per l’epoca, ecco perché Baccio Bandinelli ricevette dalla corte pontificia la commissione di una riproduzione da offrire a Francesco I di Francia.
Per individuare quella che a suo avvi­so è la Casa di Tito sul Colle Oppio (e «nella Casa di Tito», fino a oggi mai identificata, stando a Plinio, era espo­sto il Laocoonte) Carandini si è armato di due fondamentali piante romane. Ov­vero la marmorea Forma Urbis Romae degli inizi del III secolo dopo Cristo e quella realizzata da Giambattista Nolli nel 1748. Racconta Carandini: «Studian­do la Forma Urbis mi sono imbattuto in un atrio di forma arcaica a crociera, con un gigantesco tablino e con un accesso che apre su uno spazio porticato con al centro un tempietto. Che strano, mi so­no detto, un atrio così antico rimasto in­tatto sulla pianta per tanti secoli». Ma una ragione, per il professore, c’è. Ed è legata al culto di Servio Tullio, penulti­mo re di Roma assassinato dal genero Tarquinio il Superbo: «Sappiamo dalle fonti che la sua casa era in periferia, sul­la cima del Colle Oppio. Dopo la sua morte e quella di Tarquinio il Superbo, la repubblica fondò il suo culto come vecchio re filo-popolare. Venne il tem­pietto ».
Ed eccoci a un nuovo capitolo, al pri­mo Prefetto del Pretorio Seio Strabone, capo delle guardie del palazzo imperia­le sotto Augusto: «Guardando la pian­ta, si nota che intorno alla casa e al tem­pietto si costruisce un grande edificio. Si deve a Aelio Seiano, suo figlio, Prefet­to del Pretorio sotto Tiberio, che poi lo farà uccidere nel palazzo imperiale. Lì sorge infatti il Tempio della Fortuna se­iana, visibile sulla pianta, e coperta se­condo le fonti dalle toghe di Servio Tul­lio conservate fino a quel momento».
Tutto torna, dunque, per Carandini: la conservazione dell’antichissimo edifi­cio fino all’età imperiale per il culto di Servio Tullio, il luogo (la cima del Colle Oppio). Ed eccoci al punto, la casa di Ti­to, finora mai identificata: «Con tutta evidenza quel complesso era diventato di fatto 'la' casa del Prefetto del Preto­rio. E quando il futuro imperatore Tito diventa Prefetto del Pretorio sotto suo padre, l’imperatore Vespasiano, quel­l’agglomerato diventa a tutti gli effetti 'la casa di Tito'. Nerone, lì accanto alla Domus Aurea, aveva ampliato l’edificio aggiungendo una grande aula con due absidi, la struttura è visibile sul Colle Oppio. Un luogo di rappresentanza ma anche, con ogni probabilità, uno spazio per amministrare la giustizia».
Secondo Carandini il Laocoonte era lì, in una delle due absidi. E nell’altra? Tesi pronta: «Laocoonte muore per la 'colpa' di essersi opposto all’ingresso del Cavallo di Troia nella sua città. A Pompei, nella Casa del Menandro c’è una situazione identica. Un ambiente dove è dipinto Laocoonte. In quello di fronte c’è Cassandra, altro personaggio 'colpevole' di aver profetizzato la fine di Troia e di essersi quindi opposta, co­me Laocoonte, all’arrivo del Cavallo. Se­condo me nell’altra abside c’era una Cassandra. Entrambi alludevano alla Nuova Troia, cioè Roma».
Altro tassello: sovrapponendo la pianta del Nolli alla Forma Urbis si sco­pre che il luogo del ritrovamento, la «Vi­gna delle Capocce», non lontano dalla Cisterna delle Sette Sale, coincide con quella che per Carandini è «la casa di Tito». All’epoca del Nolli, tutto faceva parte degli Orti di San Pietro in Vincoli. A questo punto, Carandini lancia una sfida personale: «Scommetto che, sca­vando lì, potremmo ritrovare il basa­mento del Laocoonte. Un progetto già c’è ma mancano i soldi e urgerebbe uno sponsor». E in quanto all’ipotizzata Cassandra? «Chissà». L’archeologo sor­ride, enigmatico. È in arrivo un’altra scoperta del suo doppio, il detective?