martedì 26 maggio 2009

L´anfiteatro rinasce dopo 2000 anni

L´anfiteatro rinasce dopo 2000 anni
ANTONELLA GAETA
LA REPUBBLICA - 21 maggio 2009 - BARI

Presentato a Lucera il restauro del monumento augusteo che torna a ospitare il pubblico

Nel buio dei sotterranei, gli spoliaria, i gladiatori aspettavano il loro turno con la sorte. Nel primo secolo dopo Cristo l´Anfiteatro Augusteo di Lucera era color del sangue. Oggi, dopo duemila anni, la splendida struttura estesa su 12mila metri quadri ospiterà una lunga festa per la sua inaugurazione con sbandieratori, banda cittadina, concerto corale e operetta con l´Ensemble Umberto Giordano di Foggia. Si continua domani e dopodomani.



Lucera, lì dove lottavano i gladiatori ora si esibiranno attori e musicisti

Restaurata la più grande arena di epoca romana esistente nel Mezzogiorno
Il progetto coordinato dall´architetto barese Serpenti ha permesso di realizzare gradinate da mille posti
ANTONELLA GAETA


Nel buio dei sotterranei, gli spoliaria, i gladiatori aspettavano il loro turno con la sorte. Nel primo secolo dopo Cristo, l´anfiteatro Augusteo di Lucera era color del sangue. Di lottatori, di animali cacciati con le venationes, di cristiani mandati ad bestias. Una splendida struttura estesa su dodicimila metri quadri che il duoviro e tribuno dei soldati Marco Vecelio Campo aveva fatto costruire tra il 27 avanti Cristo e il 14 dopo Cristo, simbolo maestoso della sua gratitudine all´imperatore. Augusto aveva fatto di Lucera una colonia augustea, nobilitandola.
Un perfetto anfiteatro, tra i più grandi del Sud Italia, unico in Puglia, integro, riportato alla luce solo nel 1948 e poi sostanzialmente vissuto a tratti, mai in maniera "originaria", spesso abbandonato. Quest´oggi comincia una nuova vita, l´ennesima, per l´anfiteatro di Lucera quando, alle 20, gli interventi di recupero e valorizzazione saranno mostrati alla città. La struttura è tornata fruibile, almeno in parte, ricostruendo le gradinate da mille posti che tornano a dare l´idea di scenari di duemila anni fa. I lavori, durati due anni e mezzo, sono stati coordinati dall´architetto barese Stefano Serpenti, finanziati dalla Regione con l´accordo di programma quadro per i Beni culturali e realizzati dal Comune di Luce e dalla Soprintendenza Archeologica. Nella zona adiacente all´anfiteatro, infatti, gli archeologi Marco Fabbri e Lisa Pietropaolo hanno effettuato scavi che hanno riportato alla luce tracce di abitato, testimonianze ancora una volta dell´importanza di Lucera, prima colonia di diritto latino fondata in Puglia, subito dopo la disfatta delle Forche Caudine nel 314 avanti Cristo.
«L´intervento - racconta Serpenti - guarda a un uso produttivo del bene culturale, garantendone la sua salvaguardia e conservazione, con una caratteristica particolare che è, tuttavia, la sua reversibilità». Ovvero, in un settore della cavea sono state costruite gradinate lignee su un sistema di micropali di fondazione, con piano di calpestio ligneo per strutture per spettacoli e sistema di illuminazione smontabili. Perché "stiamo occupando un bene e dobbiamo farlo nella maniera più discreta possibile. In futuro potrebbe tranquillamente essere riconvertito".
Un tratto del perimetro murato inoltre è stato reinterpretato con la costruzione di un piccolo spazio espositivo a vetrate con biglietteria, bookshop, caffetteria con all´esterno una copertura metallica con porticato per zona di sosta e riposo. Poi si guarda al futuro, auspicando un prossimo intervento (il presente è costato 1 milione e 600 mila euro) che completi le gradinate fino a giungere a una capienza di tremila posti complessivi. L´anfiteatro romano, che ha già ottenuto tutte le autorizzazioni per pubblico spettacolo, sarà utilizzato per concerti e rappresentazioni teatrali. «Si potrebbe pensare a un festival del mondo antico sul modello di quello di Rimini» suggerisce Lisa Pietropaolo, direttrice del museo archeologico "Fiorelli" che sarà riaperto dopo sette anni di chiusura proprio il 28 maggio. I due luoghi simbolo di Lucera, peraltro, potrebbero essere inseriti in un percorso storico-tematico del quale la Capitanata non è certo avara. L´importante è pensare insieme per una zona che merita, per bellezza e importanza storico-archeologica, unione di forze, talenti e intelligenze.
Intanto, stasera, lunga festa nell´anfiteatro a partire dalle 20 con sbandieratori, banda cittadina, concerto corale e operetta con l´ensemble "Umberto Giordano" di Foggia. Si continua domani e dopodomani.

Marmo bianco, pelle di leone Ercole ritorna dopo 2000 anni

Marmo bianco, pelle di leone Ercole ritorna dopo 2000 anni
PINUCCIO SABA
La Nuova Sardegna 21/05/2009

PORTO TORRES. Quando dalla terra è spuntato fuori un frammento di una gamba di marmo bianco, archeologi e operai hanno strabuzzato gli occhi. In questi ultimi giorni, nell’area dello scavo di via delle Terme guidato dalla direttrice scientifica Antonietta Boninu, le scoperte si susseguono con ritmo incessante, ma quella di ieri è stata davvero straordinaria. Un busto di Ercole. Alto 125 centimetri, in marmo bianco, privo del capo e degli arti superiori - rimane solo un pezzo del braccio destro, fino al bicipite -, con la gamba destra spezzata all’altezza dell’inguine e la sinistra appena sopra il ginocchio. Un manufatto che riporta ad artisti di epoca classica, di altissimo livello, databile a una prima lettura al I secolo dopo Cristo, o comunque all’età alto-imperiale romana, in cui sono ben leggibili gli elementi ricorrenti in tutta la statuaria che caratterizza questa figura mitologica con le zampe della leontè, il manto che ricopre le spalle della statua ricavato dal leone che il figlio di Giove uccise in una delle sue dodici fatiche. Il soggetto è perciò diventato subito esplicito: Ercole, divinità legata all’elemento dell’acqua, eroe strettamente connesso ai viaggi, ai traffici commerciali. Una figura ricorrente nella toponomastica dell’area del nord-ovest della Sardegna, con siti quali l’Herculis Insula (l’Asinara) e la stazione Ad Herculem, proprio nei pressi dell’antica Turris Libisonis. «Questo busto di Ercole, l’Herakles da sempre associato all’isola dell’Asinara e alla città di Turris Libisonis, è un ritrovamento molto significativo, importantissimo per la storia della città», spiega la coordinatrice scientifica dello scavo Antonella Pandolfi. Un ritrovamento, quello del busto erculeo, che dovrebbe aiutare a far luce sulla comprensione del complesso monumentale, come chiarisce ancora Antonella Pandolfi: «Questo Ercole potrebbe far parte di un gruppo scultoreo ed è la prima statua rinvenuta a Porto Torres in contesto stratigrafico, emersa peraltro tra i materiali di risulta in associazione ad altri elementi architettonici quali una colonna di oltre tre metri e mezzo, anch’essa in marmo bianco, con splendide scanalature, un capitello corinzio dello stesso materiale, il frammento di cornice e un’altra colonna liscia, in marmo grigio». Lo scavo in via delle Terme iniziò nel 2006 e già allora spuntò fuori un mosaico con una formula di saluto che costituisce un unicum in Sardegna. Dopo due anni di interruzione, l’indagine archeologica è ripresa qualche settimana fa, portando alla luce un importante complesso strutturale: un edificio articolato in numerosi vani e pavimentato con mosaici. Del complesso doveva far parte un ampio spazio aperto o porticato, vicino al quale gli operai dell’impresa Sini Restauri, guidati dagli archeologi Enrico Petruzzi e Daniela Deriu e dal rilevatore Franco Usai, hanno rinvenuto il busto di Ercole. La statua - recuperata, accuratamente sigillata e protetta sotto lo sguardo vigile del responsabile tecnico del cantiere di Porto Torres, Franco Satta - è stata poi trasportata al centro di restauro di Li Punti, scortata dal nucleo dei carabinieri per la tutela del patrimonio guidata dal capitano Gian Filippo Manconi. Nell’area di scavo è andato anche il sindaco di Porto Torres, Luciano Mura, che, entusiasta della scoperta, ha ribadito come il Comune turritano avesse già avviato un ragionamento con la precedente giunta regionale per la salvaguardia dell’area, sulla base delle scoperte fatte nel 2006. «Quei rinvenimenti - ha detto - dimostravano come quest’area avesse un valore monumentale non indifferente, e non inferiore a Tuvixeddu. C’è ora la necessità di una valorizzazione che può avvenire soltanto con provvedimenti speciali della Regione con la quale contiamo di riprendere il dialogo».

Museo archeologico Lavinium Ritorna la Minerva Tritonia

Museo archeologico Lavinium Ritorna la Minerva Tritonia
Sab. Mel.
Tempo (Roma) 21/05/2009

POMEZIA Dopo un lungo restauro la statua di Minerva Tritonia, diventata uno dei simboli di Pomezia, sarà ricollocata nella sua struttura naturale e cioè il Museo Archeologico «Lavinium» di Pratica di Mare. L'appuntamento è per domani 22 maggio alle ore 16. La statua fu scoperta durante gli scavi eseguiti dell'Università «La Sapienza» alla fine degli anni 70 nel deposito votivo del santuario di Minerva. Si tratta di una raffigurazione di Minerva accompagnata dal Tritone, da cui l'epiteto di Tritonia. Ieri mattina per la presentazione dell'evento a Palazzo Valentini, sede della Provincia di Roma, sono stati illustrati i lavori di restauro alla presenza dell'assessore provinciale alle Politiche culturali, Cecilia D'Elia e dell'assessore alla Cultura della Regione Lazio, Giulia Rodano. Per il Comune di Pomezia erano presenti il sindaco Enrico De Pusco e l'assessore alla Cultura Alba Rosa.

Trieste Romana – Itinerario archeologico

Trieste Romana – Itinerario archeologico
Notiziario Marketpress di Lunedì 25 Maggio 2009

“TRIESTE ROMANA” ITINERARIO ARCHEOLOGICO OPUSCOLO INFORMATIVO SULL’ANTICA CITTÀ DI TERGESTE DA PARTE DEL FAI, UNA SCUOLA PER LA FORMAZIONE DI “APPRENDISTI CICERONI”

Trieste, 25 maggio 2009 – E’ stata presentata il 21 maggio , presso la sede della Provincia di Trieste, la pubblicazione “Trieste Romana – Itinerario archeologico”, nata dalla proficua e fattiva collaborazione e sinergia tra il Fai Scuola, Delegazione di Trieste, la Provincia di Trieste e la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, nell’ambito di un progetto, sviluppato dal Fai, per aprire il mondo della scuola alla conoscenza più approfondita del proprio contesto urbano e per promuovere presso le nuove generazioni il rispetto e la difesa del patrimonio storico, artistico, archeologico e ambientale. Il punto di partenza del progetto è stata la creazione, da parte del Fai, di una scuola per la formazione di “apprendisti ciceroni” tra gli studenti delle scuole superiori di Trieste che ha dato vita ad una serie di mattinate per le scuole in cui gli studenti hanno guidato i loro compagni alla scoperta di siti e palazzi non sempre aperti al pubblico. Nel corso di questo processo di formazione, seguito e guidato, per la parte archeologica, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, uno degli obiettivi è stato quello di dare maggiore diffusione e conoscenza delle origini romane della città di Trieste anche attraverso la realizzazione di un opuscolo informativo che potesse offrire agli studenti ma, in un’intesa più ampia, anche a tutti i cittadini e i visitatori una più approfondita conoscenza delle scoperte archeologiche degli ultimi trent’anni, emerse durante gli scavi effettuati per il recupero di Città Vecchia. L’opuscolo “Trieste romana – Itinerario Archeologico”, nato da un’idea del Fai, perfezionata in una Convenzione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, è stato curato, nella supervisione scientifica e nell’elaborazione dei testi dalla dott. Ssa Franca Maselli Scotti, mentre l’apparato grafico e fotografico è stato curato dal Sig. Giusto Almerigogna della Soprintendenza stessa.

domenica 17 maggio 2009

Roma antica prima delle Mura aureliane

Roma antica prima delle Mura aureliane
CARLO ALBERTO BUCCI
DOMENICA, 17 MAGGIO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

San Giovanni, una mappa inedita della città tratteggiata dai sondaggi archeologici

Mosaici, muri e frammenti di strade, ambienti di ville, monete e le radici di un melo
Un computer ha fotografato vallate, corsi d´acqua e colline. Cercando le uscite della metro C

Hanno piantato più di 400 "carote" nella piana fuori le mura Aureliane, da porta Metronia a via La Spezia passando per porta San Giovanni. E le frese dei carotaggi, scendendo fino a 14 e 18 metri di profondità, hanno incontrato nella loro discesa sotterranea frammenti di mosaici antichi, tratti di muri in opus reticulatum, ambienti di ville, basole e frammenti di strade romane, offerte votive e preziose monete di Nerone accanto a qualche povero scheletro o alle radici fossili di un melo; inoltre, recentissima scoperta, un´iscrizione in alfabeto etrusco sul contrappeso di un telaio del terzo secolo avanti Cristo.
Ma le indagini condotte dalla Soprintendenza archeologica statale di Roma - per conto della società Roma Metropolitane al fine di trovare condotti d´aria e tunnel di risalita per le stazioni della linea C - hanno permesso ora di ricostruire il paesaggio di Roma fuori le mura prima ancora che Aureliano facesse erigere la cinta intorno all´Urbe.
E questo grazie alla lettura stratigrafica delle quote sotterranee rilevate dai carotaggi. Ma anche alla ricostruzione virtuale realizzata dai tecnici della cooperativa Parsifal. Che al computer hanno "fotografato" vallate, corsi d´acqua, marrane, dolci colline e spaventosi orridi. Un paesaggio romantico (dal campetto di calcio della Romulea che dovrà lasciare posto alla nuova fermata metro, alla futura "stazione Lodi" di via La Spezia) lì dove ora c´è una fitta rete di strade, piazze, palazzi: ossia la città nata nell´Ottocento spianando la natura rigogliosa in cui vivevano gli uomini antichi prima che le mura aureliane trasformassero l´esterno della città in terra per i morti.
«Sotto trenta centimetri di via Appia nuova - racconta Rossella Rea, l´archeologo della soprintendenza responsabile delle indagini in quest´area della metro C - trovammo per la metro A un sepolcreto con 38 corpi del V-VI secolo dopo Cristo». E sulla Casilina è venuto alla luce «un tratto della antica via Labicana spostando la quale (le basole sono state numerate e portate in un deposito in attesa di essere ricollocate in loco) abbiamo trovato oggetti preziosi e votivi, tra cui l´iscrizione in etrusco, che interpretiamo come un rituale "risarcimento" simbolico nei confronti della Terra che era stata violata. Infatti, per fare la strada, erano stati interrati precedenti condotti idraulici». Come i tre soldi sepolti da Pinocchio truffato dal Gatto e la Volpe, sottoterra è stata trovata anche una moneta di bronzo con l´effigie di Nerone: «È "nuova di zecca" ed aveva probabilmente la stessa funzione rituale».
Le indagini archeologiche costano moltissimo ma restituiscono alla collettività un patrimonio ricchissimo. «E non solo sul piano scientifico, direi proprio su quello economico: è come se lo Stato con un unico investimento ricavasse un doppio guadagno» sottolinea Rossella Rea: la metropolitana per la città e le opere d´arte per i musei. Sono stati migliaia i reperti scovati in dieci anni di scavi e ricerche che non sono ancora terminati. Mentre la talpa che scava è già al lavoro. E mentre altrove, come è accaduto in via Sannio, dove due anni fa è spuntata fuori dalla terra la bottega di un marmista, i resti sono stati già reinterrati dopo essere stati fotografati, misurati, catalogati. È il caso di ricordare che negli anni Settanta, per realizzare il tracciato della linea A della metropolitana, non vennero effettuati rilievi di questa precisione. E molte informazioni, forse anche tanti tesori, sono andate perdute.

Quando arrivò Cibele grande Madre dei romani

Quando arrivò Cibele grande Madre dei romani
SERGIO FRAU
DOMENICA, 17 MAGGIO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

Ha una corona di torri sulla testa, un trono, un´aria severa. Talvolta con lei ci sono uno o due leoni
Una simbologia la sua che, in parte, già appartiene alla divinità di Chatal Hoyuk del VI millennio a.C.

Ormai ci si ritrova di fronte a una gran bella scelta: crederci che «l´Italia non è multietnica» e, allora, lasciar perdere. Oppure raccontarla la Roma degli Anatolici: la Roma di Enea, Cibele, Artemide & C. che Virgilio, Ovidio, Giuliano l´Apostata & C. ci hanno tramandato.
Figurarsi a scuola, i professori. Diventerà imbarazzante quel III libro dell´Eneide? Lì Apollo appare in sogno al profugo troiano Enea che, disperato, cerca una nuova patria per spiegargli dove ricominciare le loro vite: «Vi è un luogo, i Greci lo chiamano Esperia, antica terra, potente d´armi e di feconde zolle». E Anchise, al racconto del figlio, si ricorda di Cassandra: «Ora la rammento prevedere tali destini alla nostra stirpe, e spesso invocare l´Esperia e i regni italici». Respingi in mare Enea e ti svapora Roma e l´intera sua storia. E figurarsi nei nostri musei - che, dove vai vai, comunque una Cibele o un´Artemide, prima o poi, le incontri - gli archeologi e le guide cosa dovrebbero dirci di queste dee che mezza Roma adorava?
Che sono roba nostra? Divinità autoctone?
Non è così: l´abbiamo pregata a lungo, Cibele, ma è ci arrivata da fuori: bella, santa, turca e già famosa da secoli. La si riconosce subito: ha una corona di torri sulla testa (proprio come ancor oggi l´immagine tradizionale dell´Italia turrita), un trono, un´aria severa. Talvolta con lei ci sono uno o due leoni. Una simbologia la sua che, in parte, già appartiene alla Dea Madre di Chatal Hoyuk (VI millennio a.C.) e che riassume il suo mito che, nel I millennio a.C., la lega stretta stretta ad Attis, il giovinetto che muore e risorge grazie a lei. L´abbiamo voluta noi, quella pietra nera che la evocava, facendola immigrare da Pessinunte, nel 204 a.C. Certo, allora c´era anche da tenersi buono il padrone del suo tempio, Attalo di Pergamo, utile come alleato contro Annibale. E si pensava anche che - potente com´era, Cibele - riuscisse a entusiasmare l´esercito dai brutti colpi subiti.
Funzionò a perfezione, la dea: Scipione vinse Cartagine e divenne l´Africano; il Mediterraneo Occidentale divenne romano: Mare Nostrum. Fu così che nel 191 a.C ebbe l´onore di un suo tempio al Palatino.
Ovidio racconta, nel IV dei suoi «Fasti», come andò il suo arrivo: «Quando Enea trasferì Troia in terra d´Italia, la dea fu tentata dall´idea di seguire la nave che trasportava i sacri tesori, ma poi capì che il destino non l´aveva ancora chiamata a trasferire nel Lazio la sua presenza divina». Rimase a casa sua Cibele, fin quando, alla fine di quel III secolo a.C., i sacerdoti di Roma, consultando i libri sacri per capire come mai le cose andassero così male, ebbero un responso chiarissimo: «Manca la madre. Vi ordino Romani di cercare la madre. Quando verrà, essa dovrà essere accolta da una mano pure».
Trattarono con Attalo: ma solo un terremoto e un messaggio perentorio della dea lo convinsero a lasciar partire Cibele. Ovidio mette in bocca al re di Pergano, la città delle prime pergamene, queste parole rivolte alla dea: «Vai pure, resterai ugualmente nostra: Roma discende da progenitori Frigi».
E Roma l´amò davvero questa Nostra Signora dei Turchi, Madre Santa dei Padri di Roma: al tempio sul Palatino, ne seguì un altro all´Aventino, un altro ancora in Vaticano del II o III secolo. La sua statua finì al centro del Circo Massimo, con le divinità più sacre. Dal 15 al 27 marzo era festa grande per lei, con timpani, urla e sonagli di bronzo: una processione, lavacri, offerte, sacerdoti vistosi, spesso castrati, ma anche veglie, il taglio dell´albero sacro, e giochi al Circo.
Ovidio si toglie lo sfizio di fare una domanda anche sui sacerdoti eunuchi: «Che origine ha la frenesia per cui si tagliano il membro?» Ed è una musa a spiegargli che si tratta di una citazione del peccato carnale commesso da Attis che, pur avendo promesso alla dea di restar per sempre fanciullo, s´era poi invaghito di una ninfa e per punirsi decise che doveva «morire quella parte del corpo che mi ha rovinato».
Un voto di castità, il suo, che mezzo Mediterraneo conobbe, con cento variazioni. Se si va a Ostia Antica - e s´imbocca il decumano fino al Foro per prender poi a sinistra, percorrendo il cardo massimo fino alla fine del parco archeologico - si arriva al Campus Magnae Matris: zona sua. Era proprio lei, Cibele, infatti, che veniva considerata la Madre degli Dei. Di tutti gli dei: Demetra, Hera, Ade, Poseidone, persino Zeus, tutti figli suoi, secondo gli Antichi.
Non che in quel grande spazio poco distante dal Tevere ci sia rimasto granché: un podio e, in asse, una cappella per Attis. Là dentro vennero trovate 19 statue, finite in gran parte in Vaticano, in minima parte al Museo di Ostia. Anche delle copie fatte per sostituire la roba che c´era è rimasto poco: la statua di Attis adagiato, due Telamoni mostruosi con gambe di capro e pelle di leone, che sorvegliano l´ingresso, l´alberello sacro che faceva parte della liturgia e che, ormai, si sta sfaldando. Nel museo - nella stessa sala di Mithra e Serapide - due bassorilievi ce ne fanno conoscere i riti e un sacerdote. E un suo fedele si è fatto rappresentare sul sarcofago che è lì: al polso, sul suo bracciale, l´immagine santissima della dea.
Tra II e III secolo Tertulliano - nell´ora delle polemiche tra Cristiani e Gentili - si accanì proprio su Cibele divertendosi a raccontare che, ormai morto a Sirmione Marco Aurelio, il gran sacerdote della dea a Roma, ancora all´oscuro di tutto, «indiceva pubbliche preghiere per la salute di Marco, già morto da una settimana». E sarcastico: «O lenti corrieri, o tardivi messaggi! Fu colpa vostra se Cibele non conobbe in tempo la morte dell´imperatore, perché i Cristiani non avessero a ridere di una simile dea!».
Bisognerà arrivare all´Imperatore Giuliano - cresciuto cristiano, ma poi restauratore degli antichi culti - per tornare a parole rispettose verso l´antica Madre degli Dei. Lui - mezzo secolo circa dopo la cristianizzazione dell´impero voluta da Costantino - le dedica una vibrante omelia. In quel suo solenne atto di fede racconta non solo dell´arrivo miracolistico della Dea Anatolica qui da noi via mare (con la sua nave che s´incaglia e con una vergine che - miracolo! - riesce a trascinarla via con la sua cinta, dimostrando così di esser davvero vergine, cosa di cui molti sospettavano) ma si sforza di spiegare il senso di questa divinità e del suo amatissimo Attis, morto e risorto. Convinto com´era che non si potevano affidare i giovani a insegnanti cristiani che - snobbando gli antichi miti - non erano in grado di spiegare gli antichi testi da studiare, Giuliano con un editto del 17 giugno 362 interdì loro la docenza.
Morì giovane, l´Apostata Giuliano, l´anno dopo. «Un segno di Dio» spiegò la Chiesa degli Inizi che - tra pogrom, persecuzioni, discriminazioni - aveva vissuto le sue restaurazioni come una terribile sorpresa. «Un segno degli Dei» dissero, però, anche i pagani, che mai compresero le profondità di questo imperatore che fu anche un grande scrittore mistico: convinto, sincero, in buona fede. Il Cristianesimo tornò religione di stato. Tempo altri 30 anni e l´imperatore Teodosio metterà fuori legge i culti degli Antichi. Sopravviveranno nei villaggi - nei «pagi» - riserve dimenticate del «paganesimo»: il nostro Sud, con i suoi flagellanti e il taglio rituale dell´albero sacro, ne conserva antiche memorie.
Non fu l´unica Cibele ad arrivare dall´Anatolia per conquistare il cuore dei Romani. L´altra, Artemide di Efeso si chiama: più anatolica di così. Ora si mostra ai Capitolini con quel suo viso scuro e il busto sorprendente che l´ha fatta passare per secoli come una superdotata, zeppa di seni, fin quando, qualche anno fa, uno studioso svizzero non dimostrò che quelle escrescenze toraciche erano collane di testicoli di toro appena sacrificati alla dea.
Sacrilego far sparire con una boutade il sangue misto che ci ha creato. Ci fu un momento terribile in cui, però, ci si riuscì: ai professori d´Italia venne comunicato da «Razza e Civiltà» (nel suo numero di maggio-luglio 1941) un diktat di Mussolini: era venuto il momento di smetterla di ragionare e indagare sulla multietnicità delle nostre origini, e che in Italia si è tutti di «razza ario-romana». Molti, moltissimi ubbidirono.

venerdì 15 maggio 2009

Milano romana, al via i cantieri «Un museo a cielo aperto»

Milano romana, al via i cantieri «Un museo a cielo aperto»
Rossella Verga
CORRIERE DELLA SERA - 15 maggio 2009

Area Gorani-Brisa-Ansperto Partono i lavori per l’area archeologica.

Un museo a cielo aperto e una suggestiva passeggiata alla scoperta dei siti archeologici della Milano Romana. Ci sono voluti anni, ma ora si parte. L’ultima e definitiva convenzione è stata firmata il 30 aprile scorso e tra 40 giorni aprirà il cantiere per l’intervento di riqualificazione sull’area Gorani-Brisa-Ansperto, sulla base di una variante urbanistica approvata nel 2005. Per gli assessori allo Sviluppo del Territorio, Carlo Masseroli, e all’Arredo e decoro urbano, Maurizio Cadeo, arriva finalmente a compimento per la città», che potrebbe rappresentare la prima tappa di un’operazione rivolta all’ampliamento degli scavi del Palazzo imperiale e alla creazione di una piazza pubblica affacciata sulle rovine, con in mezzo la Torre Gorani restaurata L’opera, progettata dallo studio di architettura Luisa Cortese, verrà realizzata a costo zero per il Comune, come oneri di urbanizzazione per l’intervento privato in corso sulla via Santa Maria alla Porta. «La proposta e — spiega l’architetto Cortese — risponde all’esigenza di qualità urbana, presentando un percorso che colleghi i luoghi verdi della zona come il giardino Aristide Calderoni e i siti archeologici e culturali presenti.

Il percorso infatti mette in stretta relazione il Museo Archeologico con gli scavi dei resti del Palazzo Imperiale». La via Ansperto, in particolare, è destinata a diventare un’area espositiva all’aperto, dove potrebbero trovare spazio giovani artisti e scultori, magari grazie a una collaborazione con la Triennale e l’Accademia di Brera. Pavimentazione in porfido e granito, alberi e oggetti d’arredo.

Tutto ciò verso una pedonalizzazione completa che, non nasconde l’architetto Cortese, costituirebbe il naturale sbocco della riqualificazione. La previsione è di concludere i lavori in 20 mesi. «E’ un intervento molto importante che dà via via consistenza al progetto per un museo a cielo aperto — sottolinea l’assessore Masseroli — Per rendere ancora più fruibile l’area è già allo studio la pedonalizzazione ». Masseroli annuncia che c’è «l’intenzione per il futuro di far rientrare nel progetto di riqualificazione anche la palazzina occupata dai vigili del fuoco, di proprietà comunale ». «Arriva finalmente a conclusione — conclude l’assessore Maurizio Cadeo — un intervento su un’area importante che dal punto di vista dell’arredo e del decoro presentava criticità». Cadeo pensa già al dopo: «Studieremo sistemi di controllo e poche chiare regole — avverte — per garantire il rispetto degli spazi riqualificati. E su questo avremo il pugno di ferro. Ma sono fiducioso: creare il bello induce poi anche a rispettarlo».

sabato 9 maggio 2009

Lanuvio. Un museo all'aperto tra i resti romani

Lanuvio. Un museo all'aperto tra i resti romani
Michela Galuppo
Il Tempo – Roma 9/5/2009

Apre oggi il sito archeologico «Villa ad Bivium», un parco storico tra gli impianti residenziali dell'antichità

Lanuvio. Sarà il punto di riferimento culturale per il rilancio turistico della città

Un museo all'aperto. Questo sarà in sostanza. il sito archeologico «Villa ad Bivium» che sarà inaugurato oggi pomeriggio alle 17 a Lanuvio. Partenza dal parcheggio di via Giovanni XXIII. Una cerimonia attesa da tempo alla quale parteciperanno, tra gli altri, il sindaco di Lanuvio, Umberto Leoni che insieme a Luca Attenni, direttore del Museo Civico, farà una panoramica introduttiva sul sito archeologico seguita da una visita guidata. Si tratta di un progetto che vuole valorizzare i resti archeologici degli impianti residenziali dalla Lanuvio romana attraverso un parco storico monumentale. «Un vero e proprio museo all'aperto come lo ha definito Attenni - Il sito delle ville al bivio , finalmente musealizzato ha proseguito-, potrà essere facilmente e fruttuosamente inserito in un itinerario archeologico che comprenda i monumenti più importanti e interessanti della Lanuvio antica. Il parco sarà quindi uno dei punti di riferimento culturali della zona, insieme all'attività didattica del Museo Civico e delle scuole locali, nell'ottica del rilancio turistico della città». Un rilancio turistico tanto caro anche al presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti che ha più volte sottolineato come il territorio dei Castelli Romani abbia grandi prospettive di sviluppo e come questa area e le sue risorse, in particolare agricoltura e turismo, siano molto importanti. Proprio per questo è necessario continuare ad investire in tal senso. E proprio pochi giorni fa, durante la presentazione della legge di Roma Capitale in Campidoglio, Zingaretti ha ribadito ancora una volta questo concetto, riferendosi alla ricchezza artistica e culturale dei Castelli Romani e annunciando che a breve, tra le altre cose, sarà inaugurato Palazzo Sforza Cesarini di Genzano, una grande attrazione per il turismo. Si tratta del più antico e nobile degli edifici di rappresentanza dei Colli Albani.

venerdì 8 maggio 2009

Vespasiano, duemila di questi giorni

Vespasiano, duemila di questi giorni
IL TEMPO 08/05/2009

Aperta al Museo Civico la rassegna sull'illustre figlio della Sabina

Ieri mattina, al Museo Civico, è stata inaugurata la rassegna sul bimillenario di Tito Flavio Vespasiano, un figlio illustre di questa terra. «Rivalutare la storia sabina attraverso scritti, reperti, documenti - ha osservato l'assessore ai Beni Culturali, Gianfranco Formichetti - qualcosa che resta a Rieti e che il mondo intero deve conoscere». Sempre ieri, grande partecipazione per la Rassegna dell'editoria delle Fondazioni bancarie, inaugurata presso le sale espositive di Palazzo Potenziani e che rimarrà aperta fino al 24 maggio. Atteso l'intervento del presidente della Cassa di Risparmio di Firenze, Aureliano Benedetti. «Ci siamo resi conto che le Fondazioni possiedono un vero patrimonio editoriale che rischiava però di avere una limitata diffusione – ha commentato il Presidente della Fondazione Varrone, Innocenzo de Sanctis, alla vigilia dell'inaugurazione della manifestazione - La rassegna, invece, offre l'occasione di divulgare ampiamente testi che sono espressione di luoghi diversi. È indubbio che il libro è sinonimo di cultura assumendo, nei rispettivi contenuti, un valore decisivo per dare concretezza alle repentine trasformazioni di un mondo "ostaggio consapevole" della globalizzazione. L'esposizione di oltre 300 volumi può diventare un viaggio alla scoperta del paese Italia. Questi libri racchiudono la storia, la cultura, l'arte di tanti luoghi del nostro meraviglioso territorio». La rassegna sarà visitabile il venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18.P. D. L.

martedì 5 maggio 2009

Vesta, tornano gli dei

Vesta, tornano gli dei
Simona De Santis
Corriere della Sera, 27/6/2006

Il Tempio rischiava dì crollare, ora riaccende il turismo
Il mito lo vuole come una delle dimore preferite dagli dei. È tornato agli antichi splendori il Tempio di Vesta nel parco di Villa Gregoriana, a Tivoli, dopo i lavori di restauro portati a termine dal Fai in collaborazione con l'Arpai, l'associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano. Tre mesi di intensa attività e delicati interventi, per strappare il Tempio al degrado: «Abbiamo trovato la struttura in una situazione piuttosto sconfortante - spiega Marco Piras, direttore dei lavori per la Texnh - la stabilità della cella risultava compromessa».
I materiali costituenti, in primis travertino e tufo, dove non erano stati depauperati, avevano subito un grave deterioramento a causa degli agenti ambientali: «Sarebbe bastato sfiorare alcuni elementi della cella per farle cadere». Con la passione e il coinvolgimento, anche emotivo, dei maghi del restauro (la scuola italiana è una delle migliori del mondo) e del Fondo italiano per l'ambiente, il tempio di Vesta, e i suoi duemila anni di storia, possono ancora emozionare visitatori e turisti, come ai tempi del Gran Tour che faceva tappa qui, per ammirare le meraviglie di Tivoli, fin dal Settecento.
Si tratta del primo restauro archeologico avviato dal Fai, che ora «sta svolgendo anche l'importante restauro vegetazionale» racconta Giulia Maria Crespi, Presidente Fai. Le difficoltà, anche logistiche, per lo spostamento degli elementi del tempio, posizionato su una rupe, non sono mancate. Sono stati portati a spalla le colonne e gli stucchi antichi. Ristrutturati, o fatti ex novo. due chilometri di muretti e palettati. Dal vicino laghetto di villa Gregoriana, gli operatori Fai hanno estratto «cinque tonnellate di lavatrici e altro materiale pesante». Per l'eliminazione delle sterpaglie e delle erbe infestanti «sono intervenuti arrampicatori speciali».
Un intervento ad ampio raggio, che ha ricevuto un milione e mezzo di euro dall'Unicredit e altri fondi sostanziosi da enti pubblici e privati: Sovrintendenza, Provincia, Comune e Regione Lazio: «Solo questo tipo di interventi congiunti porta risultati di eccellenza». Senza considerare che «quando il Fai riapre un bene c'è tutta una microeconomia che risorge attorno, un anno fa con la riapertura di villa Gregoriana a giovarne è stata non solo la città di Tivoli, ma tutta l'economia legata al turismo nella Regione» conclude la Presidente Crespi. Un turismo che «se è in crisi in Italia a livello globale - dice Anna Maria Reggiani, direttore generale per i Beni Archeologici al ministero dei Beni Culturali - mostra invece vivacità il turismo culturale, si pensi al cosiddetto Modello Roma». Ora il Fai aspetta il comodato gratuito dal Demanio: «Con questa esperienza stiamo mettendo a sistema un modo di operare, tra pubblico e privato. - sottolinea Elisabetta Spitz, direttore generale dell'Agenzia del Demanio - che continuerà».
Intanto, illuminato di notte, il tempietto di Vesta, con la dea che lo abita, continua a vegliare sulla valle dell'Aniene, dove gli elementi naturali sono maestosi, tra strapiombi e cascate. Un luogo magico, di cui possono ancora godere, finalmente, tutti.

Rinasce il Tempio di Vesta a Villa Gregoriana

Rinasce il Tempio di Vesta a Villa Gregoriana
GABRIELE SIMONGINI
Il Tempo (Roma) 28/06/2006

SOSPESO com'è tra cielo e terra, a strapiombo sulla cascata dell'Aniene, il Tempio di Vesta nella Villa Gregoriana di Tivoli è uno dei simboli dell'antichità classica più rappresentati in quadri e incisioni compresi fra Seicento e Ottocento. Lo hanno raffigurato, tra gli altri, artisti del calibro di Lorrain, Van Wittel, Dughet, Fragonard, Piranesi, Turner. E in un'opera ottocentesca il Tempio di Vesta è collocato con grande immaginazione nientemeno che sulla cima del monte Parnaso, sacro ad Apollo e a Dioniso. Nel contesto della progressiva rinascita di Villa Gregoriana, restaurata e riaperta al pubblico poco più di un anno fa, stonava solo l'incuria che circondava questo straordinario tempio costruito nel I secolo a.C. Ma anche a questo si è posto ora rimedio: è terminato infatti il restauro del Tempio di Vesta, realizzato dal FAI-Fondo per l'Ambiente Italiano con il decisivo sostegno economico di A.R.P.A.L, Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano. Con il recupero completo di Villa Gregoriana si può ben dire che Tivoli può vantare un complesso di parchi culturali unico al mondo e le cui perle erano finora Villa Adriana e Villa d'Este. Solo adesso si possono comprendere pienamente le reazioni entusiaste degli innumerevoli artisti, scrittori e aristocratici che durante il viaggio formativo del Grand Tour giungevano nella mirabile campagna di Tivoli. Come disse Horace Walpole nel 1740, «in questa campagna la nostra memoria vede più dei nostri occhi», tante erano le testimonianze del passato più glorioso inestricabilmente fuse con le bellezze naturali. E a dominare tutto c'era appunto il Tempio di Vesta, elevato in una posizione così aspra proprio per rendere evidente il dominio dell'uomo sulla natura più impervia. A dir la verità il Tempio è circondato ancora da qualche mistero perché molti studiosi pensano che fosse invece dedicato ad Ercole o alla Sibilla Albunea. Durante ll medioevo fu utilizzato come una chiesa vera e propria mentre dal XII al XVII secolo fu completamente abbandonato. L'odierno restauro ha riguardato soprattutto le superfici lapidee e le murature tufacee della cella. Si può ben capire quindi la soddisfazione di Giulia Maria Mozzoni Crespi, Presidente del FAI, che ha annunciato la fine del restauro nella magnifica cornice di Palazzo Altemps. «Con il recupero del Tempio di Vesta - ha detto la Crespi - abbiamo integralmente restituito Villa Gregoriana al godimento pubblico. E non va dimenticato che ogni volta intorno ad un bene recuperato prende avvio una rinascita economica del territorio che lo ospita». Elisabetta Spitz, Direttore Generale dell'Agenzia del Demanio, ha ricordato che la concessione al Fai di Villa Gregoriana ha fatto da apripista ad altri importanti progetti di sinergia fra pubblico e privato e ha poi sottolineato che ora questo metodo verrà sperimentato in accordo con la Diocesi di Roma su 50 chiese che saranno gestite da privati.

Una necropoli di età romana sparita sotto un albergo a 4 stelle

Una necropoli di età romana sparita sotto un albergo a 4 stelle
MARIA ROSARIA SANNINO
La Repubblica, Napoli, 1/7/2006

DELLA Necropoli di San Marco di Castellabate, di età romana imperiale, non è rimasto più nulla. Neanche le antiche strutture murarie. La storia ha dovuto soccombere dinanzi agli interessi di un privato che per anni ha lottato contro vincoli archeologici e ambientali, vincendo ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato: sopra alle duecento tombe appartenute ali-berti e ad ufficiali della flotta romana, svettano così i tre piani colorati dell'hotel Mareluna, un albergo a quattro stelle. 38 camere e 8 suite da 250 euro a notte, distinte in quattro blocchi separati. Un ristorante e un centro congressuale sorgono praticamente su una parte di quella che era una vera e propria base militare o scalo di approvvigionamento per la flotta imperiale nel I-II secolo d.C. e la terrazza con lavista sul mare, poggia sull'antica rada del porto di età romana, nel cuore del parco nazionale del
Cilento, a due passi da punta Licosa. Ma ruspe e cemento hanno cancellato tutto. Sopravvive solo qualche "mozzicone" fuori contesto di muraglioni difensivi. E i corredi funerari recuperati durante gli scavi — brocchetti, spilloni, lucerne e le iscrizioni in greco e latino — custoditi nel museo di Velia.
L'ultimo atto è stato però compiuto: dopo la copertura delle tombe, voluta dalla Soprintendenza archeologica di Salerno, gli operai hanno avuto mandato di buttare giù anche le antiche strutture murarie. In un attimo così quei resti che dovevano rappresentare una "testimonianza" sono andati persi definitivamente. Ora la Soprintendenza ha denunciato presso la Procura di Salerno, il proprietario e il direttore dei lavori.
«Per preservare maggiormente le tombe — spiega visibilmente amareggiata Antonella Fiammenghi, responsabile di zona— e visti i continui attacchi al luogo, nonostante gli stretti vincoli archeologici e ambientali, abbiamo preferito ricoprirle, ma avevamo dato una tassativa prescrizione: le
mura al limite della necropoli bisognava preservarle e custodirle. L'attacco al patrimonio archeologico è stato però devastante e siamo rimasti impotenti senza neanche l'intervento della Soprintendenza ai beni ambientali».
La storia parte dal 2001 quando iniziano i lavori per il "complesso alberghiero" sull'area dove tutti sapevano dell'esistenza di antichi resti: ne parlano libri storici ed anche gli abitanti. La Soprintendenza ambientale boccia la pratica, chiedendo una drastica riduzione dei volumi: "i lavori sono incompatibili con il contesto paesistico-ambientale, con alterazione degli scorci". Ma il Tar e poi il Consiglio di Stato rigettano la sospensiva per un vizio di forma: il comune di Castellabate non aveva dato comunicazione del procedimento. I lavori così procedono senza impedimento. Tranne il "fastidio" degli scavi, sotto la
direzione di archeologi, sull'unica zona rimasta ancora libera dal cemento. «Ci siamo affidati alla Soprintendenza archeologica — dice ora il sindaco Costabile Maurano — anzi noi avevamo insistito perché le tombe rimanessero a vista. Potevano rappresentare per tutto il territorio una nuova possibilità di indotto turistico. Se ci sono responsabilità andranno perseguite».
Ma da Italia Nostra parte un duro attacco: «andrebbero radiati dall'albo i responsabili dei progetti e dei lavori — afferma Lella Di Leo —, sembra quasi che nessuno si accorga del danno irreparabile che l'intero patrimonio collettivo è costretto a subire. Ancora una volta il territorio è indifeso dalle istituzioni ».

ARDEA, VISITE GUIDATE TRA I RESTI DEL PORTO ROMANO

ARDEA, VISITE GUIDATE TRA I RESTI DEL PORTO ROMANO
02-LUG-2006, il Giornale cronaca Roma

Continuano le scoperte archeologiche alle foce dell'Incastro, ad Arrisa, che si stanno concentrando sul fronte meridionale delie rovine, dove la squadra di archeologi diretta da Francesco Di Mario, della sovrintendenza per i Beni archeologici del Lazio, sta portando alla luce una serie di nuovi ambienti che si aggiungono al dedalo di strutture di questo sito imponente e spettacolare. Qui sorgeva un insediamento portuale antichissimo fondato, secondo la leggenda, da Latino Silvio, figlio di Ascanio e nipote di Enea, 1300 anni prima di Cristo, e a cui fu dato il nome di Castmm Inui, in onore del dio Inuo (Priapo), protettore della fertilità della terra, li sito si potrà visitare venerdì 14 luglio dalle 9.30 alle 10, con appuntamento davanti al complesso «Le Salzare», in via Litoranea. I visitatori entreranno in gruppi composti da un numero limitato di persone. «L'obiettivo di queste visite-spiega l'associazione Informare, che le organizza con la collaborazione della sovrintendenza e dell'associazione Nuova Califomia 2004 - è sia quello di poter assistere agli scavi che di creare sensibilità per la tutela dei siti archeologici». Essendo un cantiere di scavi archeologici, viene precisato, il percorso non è al momento attrezzato né per i bambini né per visitatori con disabilità motorie. Ogni visita dura dai 30 ai 50 minuti e si deve essere muniti di calzature adeguate.

IN GERMANIA IL «LIMES» ROMANO DA COBLENZA A RATISBONA DIVENTA PATRIMONIO DELL'UMANITÀ

IN GERMANIA IL «LIMES» ROMANO DA COBLENZA A RATISBONA DIVENTA PATRIMONIO DELL'UMANITÀ
Marina Verna
La Stampa 06-07-2006

La Grande Muraglia europea nell'Unesco. Ma c'è chi contesta la decisione: «Sono inutili ruderi di fortificazioni»
BERLINO. La Grande Muraglia europea - il «Limes» romano, da Coblenza sul Reno a Ratisbona sul Danubio - è ufficialmente «Patrimonio dell'umanità». Si è guadagnata il titolo in quanto «mediatore di valori umani e terreno di contatto tra popoli e culture». L'Unesco, che aveva comunicato la decisione già nello scorso anno, ha consegnato ieri i documenti ufficiali ai ministri-presidenti dei quattro Laender - Baden-Wuerttemberg, Baviera, Assia e Renania-Palatinato - attraversati dall'antico confine tra l'impero romano e le tribù germaniche. Nella versione finale, nel IV secolo d. C., erano 550 chilometri di muri di pietra e palizzate di legno, fossati e terrapieni, con 900 torri di vedetta, 120 castelli e decine di campi militaci. Inizialmente invece, quando nel 70 d. C. l'imperarore Vespasiano tracciò il confine tra il suo impero e le tribù germaniche, erano barriere natura intervallate da strade, che venivano spostate e ricostruite in base alle esigenze di guerra e di commerci. Dell'antico tracciato restano oggi poche rovine autentiche - soprattut to ad Aalen, con il forte più grande costruito dai romani aldilà delle Alpi - e molte ricostruzioni moderne, che hanno fatto arricciare il naso all'Unesco. Ma i tedeschi si sono impegnati, se non a smantellarle, a indicarle chiaramente come falsi nei musei e nei tracciati che si percorrono a piedi. E tanto è bastato all'unesco, Che nel 1987 aveva già proclamato Patrimonio dell'Umanità un altro pezzo di Limes, il Vallo Adriano costruito a difesa della Britannia romana in quella che è oggi Ungbilterra del Nord. E nei prossimi anni dovrà esaminare nuove richieste: c'è già chi sogna di mettere sotto l'ombrello dell'unesco tutti i cinquemila chilometri del confine romanò in Europa, Nordafrica e Medio Oriente. C'è però un nemico pervicace del progetto: lo storico tedesco Wolfgang Kemp, cattedra ad Amburgo e incarichi ad Harvard. In un pamphlet colto e ironico - Rapporto non richiesto all'Unesco - ha accusato l'Agenzia culturale delle Nazioni Unite di proteggere finte rovine e nobilitare con il suo marchio troppi luoghi (finora 812) insignificanti. Il Limes non sarebbe altro che «una semplice seppur lunghissima fortificazione militare», nobilitata dalla «ideologia della diversità culturale che pervade l'Unesco». Allora, conclude, meglio il fumetto di Uderzo e Goscinny: «Se nel mio patrimonio culturale ci dev'essere un quadro falso della storia, preferisco le avventure di Asterir e Obeliz». Ad Aalen hanno incassato e continuato a far festa.

Alla ricerca dell'Ara di Marte ora si scava sotto piazza Venezia

Alla ricerca dell'Ara di Marte ora si scava sotto piazza Venezia
07/07/2006, La Repubblica, Roma

Una grande sfida per gli studiosi: riportare alla luce l'altare dedicato al dio della guerra

ALLA ricerca dell'Ara di Marte. E' questa la sfida dell'esaltante avventura degli scavi archeologici sotto piazza Venezia che iniziano oggi. Il sovrintendente comunale Eugenio La Rocca vuole trovare l'immenso altare dedicato al dio della guerra che le fonti romane dicono essere proprio da queste parti. Da cosa potremmo riconoscerlo? «Per esempio da un'iscrizione, dalla fondazione di un edificio analoga a quella dell'Ara Pacis», dice La Rocca.
E' qui, all'Ara di Marte, che dall'epoca repubblicana si riunivano tutti i romani atti alle armi per assistere ai "suovetaurilia", il sacrificio di un toro, di una pecora e di un maiale in onore della divinità. Qui il censore benediceva gli eserciti in partenza per la guerra con il rito della "lustratio", la purificazione.
«E' il primo vero scavo archeologico che si compie nell'area - racconta La Rocca - Tutti i ritrovamenti fatti finora hanno avuto un carattere puramente casuale, legati ai lavori di una fogna, un cavo
elettrico o telefonico. Piazza Venezia potrebbe davvero riservare grandi sorprese. Siamo nell'area di Campo Marzio, un territorio destinato fin dalla fondazione di Roma agli esercizi militari e ginnici, come ci fa sapere lo storico Tito Livio».
Sempre da Livio sappiamo che nella vasta zona davanti all'attuale Altare della Patria c'erano i "Saepta", situati più o meno tra largo Argentina e la chiesa del Gesù. Erano una grande e bellissima piazza dove si svolgevano i comizi centuriati, cioè le elezioni del popolo romano, diviso per centurie, i nostri attuali collegi per fare un paragone anche se improprio. Al fianco c'era il tempio di Serapide e di Iside, tra piazza del Collegio Romano e piazza Venezia. L'Ara di Marte si trovava invece tra via della Gatta e Palazzo Venezia. Al centro dell'attuale piazza correva la via Flaminia, che partiva da Porta Fontinalis, dove è l'attuale Museo del Risorgimento, arrivava all'odierna piazza del Popolo e proseguiva verso il nord d'Italia. Ancora: a destra della Flaminia (dando le spalle all'Altare della Patria) erano collocati gruppi di case di età imperiale, a sinistra c'era la Villa pubblica, un grande giardino con un edificio dove erano conservati gli archivi dei censimenti.
«Ma attenzione -mette in guardia il sovrintendente - siamo in un'area sempre abitata dall'epoca romana in avanti. Ai reperti romani si sovrappongono altri strati di età successive, che noi dovremmo dividere e identificare, proprio come sta avvenendo per gli scavi ai Fori Imperiali. Inoltre, non possiamo ancora collocare con certezza gli edifici perché manca una verifica sul territorio. Dunque gli scavi ci aiuteranno anche ad aggiornare la toponomastica».

Anfiteatro romano riemerge tra gli orti dopo secoli di oblio

Anfiteatro romano riemerge tra gli orti dopo secoli di oblio
Walter Camurati
09/07/2006, La Stampa

VERCELLI GRANDE RECUPERO ARCHEOLOGICO DIRETTO DALLA SOVRINTENDENZA

Il sindaco: adesso enti locali e Fondazioni bancarie ci aiutino a completare il progetto

Di scoprirlo, recuperarlo, portarlo alla luce e, soprattutto, valorizzarlo, si parlava da decenni. Adesso l’operazione è partita: l’anfiteatro di Vercelli sarà una delle attrattive della città nei prossimi anni e secoli. L’annuncio è stato dato dal sindaco Andrea Corsaro durante il convegno di ieri mattina sulla via Francigena al Salone Dugentesco. Aspettavano tutti l’ex ministro Buttiglione e la Bresso, è invece arrivato il sindaco in compagnia dell’architetto direttore della Soprintendenza ai Beni architettonici del Piemonte Giuseppina Spagnolo: da poco meno di due anni la Soprintendenza stava monitorando una vasta area tra viale Rimembranza via Massaua, corso De Rege e corso Salamano per riportare in luce l’anfiteatro, e nell’ultimo mese si è partiti con gli scavi. «Quello che è già riemerso - ha detto il sindaco - ci ha lasciati senza parole». Aggiunge l’architetto Spagnolo, che ha aperto e sta dirigendo il cantiere: «Si tratta di uno dei più grandi e importanti anfiteatri romani. Ha un’ellisse di circa 130 metri, 50 in più rispetto a quello di Verona. Per restare in Piemonte, è grande come quello di Pollenzo, ma è assai più monumentale. Penso che appartenga alla classica età Flavia e che quindi sia catalogabile fra la fine del I secolo e la metà del II. L’imponenza di questo anfiteatro, i materiali con cui è stato realizzato, riaffermano l’opulenza di Vercelli nell’era romana».
Dopo l’annuncio dato all’assemblea, Corsaro, la Spagnolo e l’assessore ai Lavori pubblici Roberto Scheda sono andati a visitare il cantiere. Si entra da un cancello da viale Rimembranza, appena sopra la roggia Molinara, e si percorre un tratto di prato e di orti. Oltrepassata una passerella, ecco l’anfiteatro: già la «precintia» esterna è enorme, si vedono i muri radiali e gli scavi presentano tracce di sepolture medievali. Corsaro e Scheda hanno rilevato come sia stata dunque felice la scelta di inserire quest’area in quelle «strategiche» del nuovo piano regolatore. In tal modo, trattando con i proprietari dei terreni, il Comune potrà a poco a poco acquisire l’intera area e recuperare l’anfiteatro ovviamente con la Soprintendenza e l’appoggio della Regione, di altri enti locali (alla Provincia è già stato chiesto esplicitamente) e delle Fondazioni bancarie. Che l'area in questione ricopra i resti di un grande anfiteatro, era cosa nota almeno sin dal 1560, all'epoca dell'ampliamento della cittadella ordinato dal duca Emanuele Filiberto, quando erano stati visti «i fondamenti di un amplissimo anfiteatro». Poco più di un secolo dopo, nel 1682, un manoscritto documenta la presenza nella zona di ruderi imponenti; nel 1713 su un disegno stampato a Padova compare una struttura in pianta a forma circolare, tangente il fossato delle mura, a Ovest della città; ne ha trattato padre Luigi Bruzza, e anche Vittorio Viale torna sull'argomento ricordando che nel 1928 vennero scoperti due dei muri radiali eretti a sostegno delle volte sulle quali poggiavano le gradinate; e le testate sulle quali poggia la passerella che si vede da viale Rimembranza altro non sarebbero che tratti del muro del monumento. Giuseppe Bo ne ha parlato diffusamente in un suo recente libro; ricerche dei fratelli Dario e Daniele Gaviglio hanno fotografato resti delle strutture murarie formate da ciottoli di fiume disposti ordinatamente in modo parallelo e intervallati da due file di mattoni sesquipedali; una fotografia aerea agli infrarossi, scattata sempre dai Gaviglio, documenta un'area ellittica di grandi dimensioni, con l'asse maggiore in direzione Est-Ovest tra viale Rimembranza e corso Salamano.

lunedì 4 maggio 2009

«Al Colosseo nessun campo di calcio»

«Al Colosseo nessun campo di calcio»
Il Tempo (Roma) 04/05/2009

«Non è mai esistita alcuna volontà del Comune di trasformare l'area tra il Colosseo e l'Arco di Costantino in un campetto da calcio». Non usa mezzi termini il sindaco Gianni Alemanno per respingere le polemiche sul Colosseo. «Il Comune non ha mai espresso - ha continuato il sindaco - alcun parere rispetto al progetto dei campi di calcio vicino al Colosseo in occasione della finale di Champion's League, progetto che peraltro io stesso non ho mai visionato. I nostri uffici si sono limitati a raccogliere i pareri sul progetto presentato della Uefa in vista di una decisione conclusiva che, come peraltro ha detto anche il sottosegretario Giro, in quell'area spetta pi alle sovrintendenze statali che non agli uffici comunali». «Ci premesso - ha concluso Alemanno - è evidente che se la proposta dovesse corrispondere a quanto denunciato» su organi di stampa «il nostro parere non potrebbe non essere che contrario e quindi tutta la polemica fino ad ora montata è totalmente destituita di fondamen to». Sul caso è intervenuto anche il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro: «Non comprendo tutta questa agitazione su un caso che verrà esaminato nel dettaglio rispettando le regole e le norme in vigore. Io stesso, e l'ho già dichiarato a più riprese, sono perplesso di fronte a progetti che considero troppo invasivi sull'area archeologica centrale soprattutto in quella prospiciente il Colosseo. Ma, ripeto, ci sono tecnici e strutture delegate a decidere. Lasciamole lavorare. Decideranno secondo ciò che prescrive la legge e il buon senso, un'alternativa valida su cui chiedere un confronto sereno e concreto al Comune e di cui si è già accennato all'interno delle soprintendenze e del nostro Ministero, è l'utilizzo del Circo Massimo, perché quella struttura è stata già resa disponibile per altre manifestazioni pubbliche, come la festa dell'esercito, dello scudetto della Roma, la vittoria dei mondiali e diverse grandi manifestazioni di partito». E ancora: «E' un'area altrettanto prestigiosa sotto il profilo storico artistico, ma più gestibile e che non presenta quelle difficoltà sul fronte della tutela che al contrario potrebbe avere l'area del Colosseo e dell'arco di Costantino. Ne ho parlato al telefono con il presidente del consiglio superiore dei beni culturali Andrea Carandini che non si è detto pregiudizialmente contrario, anche se correttamente vorrebbe conoscere nel merito le carte. Ma ciò che conta è che esiste un clima positivo di collaborazione che ci aiuterà con il Comune di Roma a trovare in tempi rapidi una soluzione accettabile».

domenica 3 maggio 2009

Colosseo, scoppia il caso Champions. Carandini: "Campi da calcio oltraggio al monumento"

Colosseo, scoppia il caso Champions. Carandini: "Campi da calcio oltraggio al monumento"
CARLO ALBERTO BUCCI
DOMENICA, 03 MAGGIO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

Champions, il Colosseo diventa stadio gli archeologi: fermate quello scempio

In occasione della finale di calcio il monumento di Roma trasformato in arena sportiva

Dopo la pubblicazione del progetto per la finale, è polemica. La direttrice dell´area: "Vietato fare pubblicità"

LO STATO difende il Colosseo. Che sta per essere invaso da 200mila tifosi e da due campi di calcio, stesi tra l´Arco di Costantino e l´anfiteatro Flavio per la festa finale della Champions il 27 maggio. Il progetto era stato spedito dal Campidoglio ai Beni culturali per avere il visto. Mostra anche le bandierine pubblicitarie dei tanti sponsor dello "Uefa Champions Festival Colosseum". Per Rossella Rea, l´archeologa della Soprintendenza direttrice del Colosseo «in area archeologica è vietata la pubblicità». Per Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali «è una barbarie, spero che Alemanno ci ripensi». Interviene anche il sottosegretario Giro.




ROMA - Se il tiro non infila lo specchio della porta, potrebbe centrare quello del portale. E il pallone infrangersi sui rilievi dell´Arco di Costantino. Il monumento si trova nella traiettoria del campetto di calcio che sta per essere costruito a Roma. Accanto a quello che sarà steso poco distante, all´ombra del Colosseo. I due rettangoli verdi, con tanto di linee, porte e panchine, servono a far giocare i visitatori dello Uefa Champions Festival Colosseum. È previsto dal 23 al 27 maggio, giorno della finale all´Olimpico tra le vincenti di Barcellona-Chelsea e Arsenal-Manchester. Ma, contro l´idea del Campidoglio di portare 200 mila tifosi (tanti furono i frequentatori del Festival a Mosca per la finale del 2008) a scontrarsi con le migliaia di turisti che ogni giorno visitano l´anfiteatro dei Flavi, si scagliano gli archeologi. «È una sciocchezza - taglia corto Adriano La Regina - peraltro portare nuovi visitatori in quell´area è un pericolo per la sicurezza». E Andrea Carandini: «Spero che il sindaco Alemanno ci ripensi. Si tratta di una manifestazione neanche velatamente culturale, quindi impropria per una sede storica».


Le porte dell´arena che ospitava belve e gladiatori si apriranno il 25 maggio. Ma per il concerto di Andrea Bocelli organizzato per finanziare i restauri dei monumenti colpiti dal sisma in Abruzzo. E il giorno dopo, sotto le volte della Basilica di Massenzio, Margaret Mazzantini aprirà il Festival delle Letterature 2009. Reading e note si confonderanno così con le urla dei tifosi. E i gabinetti chimici, gli stand, le tribune e le bandiere-sponsor del Festival Colosseum (innanzitutto la Sony), impatteranno con le verticali delle colonne classiche. «Sul complesso monumentale - spiega la direttrice del Colosseo, Rossella Rea - gravano numerosi vincoli. Uno dei quali vieta qualunque forma di pubblicità. E nessuna deroga è mai stata concessa nella piazza». Nemmeno la Banca di Roma poté reclamizzare il suo marchio quando contribuì al restauro della facciata.


Ma non è solo un problema di decoro. «Il Festival è talmente invasivo e pericoloso che equivale a dieci concerti della Nannini» ammette il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Giro, che a dicembre si oppose allo show della cantautrice all´ombra del Colosseo. Ora Giro cerca di mediare. Ma l´ultima parola sullo "stadio" nella piazza di proprietà comunale spetta alle soprintendenze statali. E il braccio di ferro sul match di boxe del 2007 Cantatore-Gurov sotto all´Arco di Costantino vide il soprintendente Bottini avere la peggio.

"Colosseo formato Champions? Niente pubblicità sui monumenti"

"Colosseo formato Champions? Niente pubblicità sui monumenti"
Carlo Alberto Bucci
DOMENICA, 03 MAGGIO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

La direttrice: "È vietata". Giro: "Progetto pericoloso"

Rossella Rea: "Sull´area sono stati apposti numerosi vincoli. Uno dei quali vieta tassativamente qualunque forma di réclame"

Lo Stato si schiera in difesa. A protezione del Colosseo. Che sta per essere invaso da 200mila tifosi. E da due campi di calcio, stesi ai piedi dell´Arco di Costantino e dell´anfiteatro Flavio in occasione della festa per la finale di Champions League del 27 maggio. Il progetto - spedito dal Campidoglio per ottenere il visto dei Beni culturali - è molto dettagliato. Con tanto di disegni precisi. E di tantissime bandierine che simulano le pubblicità dei vari sponsor dello "Uefa Champions Festival Colosseum".

Rossella Rea, l´archeologo della Soprintendenza speciale di Roma che è direttrice del Colosseo e che ha competenza sulla piazza, dichiara: «Non posso accogliere favorevolmente questa proposta». E poi spiega il perché: «Sull´area monumentale sono apposti numerosi vincoli. Uno dei quali vieta tassativamente qualunque forma di pubblicità. Nessuna deroga è mai stata concessa nella piazza». Quindi fa un esempio, macroscopico.


«La Banca di Roma, che pure erogò contributi importanti per il restauro del Colosseo, appariva solo nei cartelli di cantiere e comunque con visibilità contenuta».


La deroga ai vincoli può essere concessa per periodi limitati «e solo in presenza di interessi pubblici preminenti e sovraordinati» precisa il funzionario. La finale della vecchia Coppa dei Campioni può essere considerata una ragione di forza maggiore? E il Colosseo può reggere la forza d´urto dei tifosi inglesi, e/o spagnoli, che arriveranno nella capitale?

«Mi pare paradossale - ragiona il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro - che appena dichiarato lo stato di emergenza per la situazione di degrado nell´area archeologica centrale (la nomina a commissario straordinario del capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, che nei ha nei giorni scorsi rinunciato all´incarico, ndr) si conceda quello spazio a una manifestazione che per numero di persone, ossia di tifosi, e rischio di incolumità per i monumenti, equivale a dieci concerti di Gianna Nannini».


Già, il concertone di Capodanno voluto dal Campidoglio e osteggiato da Giro. Che però ora, forte «del buon lavoro svolto con il Comune in questi mesi e dell´accordo con Alemanno a proposito della necessità di rilancio del Colosseo», cerca di mediare. E annuncia: «Convocherò il più presto possibile il tavolo Stato-Campidoglio per l´area archeologica centrale in modo che si possa trovare una soluzione equilibrata che tenga conto della necessità di festeggiare la finale di Champions ma senza mettere a rischio il Colosseo e gli altri monumenti».
Ma qual è lo statuto di quell´area? Sito archeologico o piazza cittadina? Spiega Rossella Rea: «La piazza del Colosseo è un "complesso monumentale", come definito dal Codice dei Beni culturali del 2004, il cosiddetto codice Urbani, formato da più monumenti: l´anfiteatro Flavio, l´Arco di Costantino, la Meta Sudans, i resti della Domus aurea, il tempio di Venere e Roma, la via Sacra. E come complesso monumentale deve essere tutelato e gestito, garantendo ai visitatori accoglienza, libertà di movimento e di visuale. In una parola, la fruizione in totale sicurezza».

Carandini: "È una vera barbarie spero che Alemanno ci ripensi"

Carandini: "È una vera barbarie spero che Alemanno ci ripensi"
CARLO ALBERTO BUCCI
DOMENICA, 03 MAGGIO 2009 LA REPUBBLICA - - Roma

Parla l´archeologo, neo presidente del Consiglio superiore dei Beni Culturali

Carandini: "È una vera barbarie spero che Alemanno ci ripensi"

«Non è possibile una cosa del genere, no questa non si può fare. Spero tanto che il sindaco Alemanno ci ripensi».

Andrea Carandini guarda i disegni del progetto dello "Uefa Champions Festival Colosseum". E pensa all´impatto di quei campi di calcio e dei migliaia di tifosi sui monumenti che lui, da archeologo, studia da una vita. «Già non ho mai apprezzato i concerti che la passata, come la nuova, amministrazione hanno organizzato appiccicati al Colosseo, ma il mio disappunto ora è totale per una manifestazione che non ha una cornice neanche velatamente culturale», aggiunge il neo presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali.

Professore, il Colosseo è il simbolo di Roma. Un evento davanti all´anfiteatro Flavio ha un impatto favoloso sul pubblico. Per questo è stato scelto per la kermesse Uefa.
«Lo so bene, ma il calcio non mi sembra proprio un settore che ha bisogno della pubblicità dal Colosseo. Capisco che queste manifestazioni entusiasmano il pubblico ma, al tempo stesso, diseducano. È sbagliato spingere i giovani verso l´indifferenziato, che è una carattere proprio della barbarie piuttosto che della civiltà».

Da un lato lo sport, dall´altro la storia.
«Ma sì, e dobbiamo spiegare l´importanza di quel luogo attraverso una didattica adeguata. Che non è certo quella delle ricostruzioni spettacolari, dei parchi a tema, delle pagliacciate in costume. Nel Colosseo ho saputo che hanno messo finalmente cartelli per spiegare ai turisti le vicende di questo straordinario monumento. Continuiamo su questa linea. Facciamo sapere che, dove ora sorge l´arena dei Flavi, un tempo c´era la Versailles di Nerone, ossia il lago della principesca dimora dell´imperatore».

Sul Colosseo c´è un problema di competenze. La piazza spetta al Comune. Lo Stato ha le mani legate?
«Attenzione, che lì però c´è un problema di impatto sul paesaggio. E la tutela del paesaggio è di competenza della Soprintendenza statale. Io comunque mi auguro che Gianni Alemanno voglia ripensarci a proposito di questi campi di calcio a ridosso dell´area archeologica. Del resto, lo stesso sindaco il giorno del Natale di Roma ha parlato della necessità di rilancio del Colosseo. E questo non mi sembra davvero il modo corretto per la rinascita del monumento».

Sono attese circa 200mila persone tra gli stand montati nella piazza e sopra il colle.
«Ecco vede, non è solo un problema culturale. Ma anche di sicurezza. Per i monumenti e per le persone. Senza parlare della cattiva pubblicità del Colosseo trasformato in centro sportivo agli occhi delle migliaia di visitatori italiani e stranieri che ogni giorno vengono ad ammirare questi capolavori di arte e architettura».

Più pubblico, più soldi però.
«Dobbiamo valorizzare il nostro patrimonio. Un euro investito in cultura ne restituisce quattro attraverso l´indotto. Ma questo ritorno non può avvenire attraverso la strumentalizzazione della storia. Una società ordinata deve tenere distinte le funzioni».

Assurdo il progetto per costruire campi di football davanti al monumento romano Colosseo, la storia presa a calci

La Repubblica 3.5.09
Così si perde la partita della memoria
Assurdo il progetto per costruire campi di football davanti al monumento romano
Colosseo, la storia presa a calci
di Salvatore Settis

Finalmente sapremo a che cosa servono ruderi inutili e ingombranti come il Colosseo, l’Arco di Costantino, il tempio di Venere e Roma. Il momento della verità è arrivato, e a quel che pare dobbiamo esserne grati al Comune di Roma.

Quello stupido e noioso pietrame grigiastro verrà finalmente messo a buon frutto: le finali della Champions League saranno allietate da campi di erba sintetica a ridosso del Colosseo, l´arco di Costantino in asse con una delle porte del rettangolo verde. Intorno, stand gastronomici, grappoli di gabinetti chimici, megaschermi con pubblicità, son et lumière, e "un´azione di guerrilla marketing". Finalmente un po´ di modernità, finalmente sconfitti i nostalgici che vedono nella tutela dei monumenti un dovere civile. Che importa se i 200 mila tifosi previsti, compresi gli hooligans, dovessero danneggiare quel vecchiume? Questo ennesimo episodio di barbarica incuria non è isolato. Predichiamo contro l´inquinamento ambientale, e dimentichiamo che la stessa battaglia va combattuta contro l´inquinamento acustico e visivo. Ci parliamo addosso sulla bellezza delle nostre città, sulla ricchezza monumentale dei nostri centri storici, sulle migliaia di anni di storia di cui ci vantiamo di essere eredi: e nelle piazze più belle portiamo impunemente folle rumorose che ne deturpano l´immagine e ne inquinano la percezione. Non riusciamo più a "vedere" i nostri palazzi e le nostre chiese, i templi e gli archi e gli anfiteatri: sempre più spesso ridotti a comodo fondale per inscenare spot o spettacolini d´ogni sorta. Abbiamo dimenticato facilmente gli orrori del concerto dei Pink Floyd a piazza San Marco vent´anni fa, con danni molto più costosi degli introiti. Non vogliamo sentirci dire che la bellezza delle nostre città è fragile, va protetta con la cura amorevole delle generazioni passate: preferiamo accorciarne la vita, accecando la memoria storica per meschini guadagni immediati, senza nemmeno un pensiero ai posteri. Inutile accusare sindaci, assessori, soprintendenti: se non sappiamo levare la nostra voce, siamo tutti colpevoli. Roma poi è un caso speciale. È il sito archeologico più vasto del mondo, e fra i più importanti. Contiene memorie storiche uniche. Impone una sfida senza pari: conservare per il mondo un patrimonio che è di tutto il mondo, e farlo con gli strumenti di un solo Paese. Titolare di questo compito straordinario dev´essere lo Stato o il Comune? C´è una sola risposta possibile: tutte le istituzioni pubbliche devono far convergere i propri sforzi, perché quanto accade a Roma è sotto gli occhi del mondo. Perciò l´argomento "il Colosseo è dello Stato, la piazza è del Comune" è spazzatura. I monumenti non sono soprammobili, esistono nel loro contesto: è il contesto che va protetto, e i monumenti con esso. A questo alto dovere il Comune è tenuto non meno dello Stato.
Nei mesi scorsi si è svolta una diatriba sul commissariamento della Soprintendenza archeologica di Roma, affidato a Guido Bertolaso, che si è da poco dimesso perché sa bene che il suo posto è in Abruzzo. Molti si sono chiesti che cosa ci stesse a fare un esperto di protezione civile come commissario dell´archeologia di Roma. Il danno all´immagine della città e i probabili danni ai monumenti che ci sta per ammannire la kermesse calcistica in arrivo sono, e saranno, una vera emergenza. Che fosse questa la vera ragione del commissariamento, il disastro non tellurico ma umano a cui Bertolaso doveva porre riparo?

sabato 2 maggio 2009

La città antica. La Soprintendenza rivela il risultato dei lavori

La città antica. La Soprintendenza rivela il risultato dei lavori
Camilla Bertoni
CORRIERE DEL VENETO, 26 APRLE 2009

«Dopo 25 anni di scavi ecco il Campidoglio romano» Briciole, niente più, ma da quell’enorme quantità di briciole ritrovate in vent’anni di scavi archeologici Giuliana Cavalieri Manasse, direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, è riuscita a compiere un'impresa che ha pochi altri riscontri: la ricostruzione, fin nei minimi dettagli, di quello che doveva essere l’imponente Capitolium di Verona romana, l’antico campidoglio. Di tutti gli scavi realizzati da quando è iniziato il suo incarico veronese (era il 1977) Manasse ha scelto di dare alle stampe gli esiti di questo lungo lavoro.

La città antica Il lavoro che riporta alla luce il Capitolium di Verona

«Dopo 25 anni di scavi nelle cantine dei palazzi ecco il Campidoglio romano»

La Manasse: un percorso museale, ma servono fondi

VERONA — Briciole, niente più, ma da quell’enorme quantità di briciole ritrovate in vent’anni di scavi archeologici Giuliana Cavalieri Manasse, direttore del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto, è riuscita a compiere un'impresa che ha pochi altri riscontri: la ricostruzione, fin nei minimi dettagli, di quello che doveva essere l’imponente Capitolium di Verona romana (il Campidoglio). Di tutti gli scavi realizzati da quando è iniziato il suo incarico veronese (era il 1977) Manasse ha scelto di dare alle stampe gli esiti di questo lungo lavoro .

«Gli scavi sono iniziati in aree private interessate da opere di ristrutturazione », spiega Manass, 25 anni fa. «Nel 1983-84 i primi ritrovamenti sono emersi nelle cantine di Palazzo Maffei, tra 1986 e 1987 nei sotterranei del palazzo del Monte dei Pegni, poi nelle cantine di Palazzo Malaspina (su via Emilei) e infine dal 1988 al 2004, in varie fasi, nell’area di corte Sgarzerie ».

Quando si è iniziato a capire il significato e il valore di ciò che si veniva portando alla luce?

«Fin dal 1987 abbiamo capito che stavamo trovando la vera sede del Capitolium romano, che non poteva più essere identificato con i ritrovamenti nell'area di Piazzetta Tirabosco, che dal 1914 aveva assunto il toponimo di Campidoglio proprio in virtù di quanto allora si credeva. Ma la ricostruzione nel particolare è stata un lavoro enorme cui si è potuti arrivare mettendo insieme briciole su briciole».

Cosa si auspica per questi tesori archeologici, in gran parte ancora non visitabili al pubblico?

«Esiste un progetto per la loro musealizzazione e per un percorso con mezzi audiovisivi e ricostruzioni virtuali da farsi nel futuro Museo Archeologico a San Tomaso, ma per ora non abbiamo ricevuto alcun finanziamento. E senza i contributi della Fondazione Cariverona non avremmo neppure potuto realizzare questo scavo e questo studio». Uno studio che Pierre Gros, uno dei massimi studiosi di architettura romana, così commenta: «Grazie a questo volume il Campidoglio di Verona è entrato nel club molto ristretto dei monumenti antichi integralmente conosciuti e ricostruiti e resterà una delle testimonianze più evocative dell'architettura, dell'urbanistica e della storia delle città romane dell'Italia settentrionale».

Spunta una nuova porta della città romana

Spunta una nuova porta della città romana
Camilla Bertoni
Corriere del Veneto 29/04/2009

VERONA — Riaffiorano i «segreti» storici negli scanti­nati di Casa De Stefani, sede un tempo di una casa farma­ceutica, posta tra via Leonci­no, dove dà la facciata princi­pale, e vicolo Sant’Andrea. Un palazzo-monumento, dove si racchiude una storia che va dall’età romana fino al ‘900.

Da tre anni si scava nelle cantine perché ciò che sta emergendo è una postierla ro­mana, ovvero una porta secon­daria di accesso alla città. «Ne abbiamo trovate altre tre nella cinta municipale di Verona ­spiega Giuliana Cavalieri Ma­nasse, direttore del nucleo operativo di Verona della So­printendenza Archeologica del Veneto - una in corte Fari­na, una in via Mazzini e una in via San Cosimo, ma nessuna così ben conservata».

Lo studio è ancora in corso, ma Giuliana Cavalieri Manas­se spiega l’importanza del ri­trovamento: una porta che dapprima sembrava solo un accesso pedonale alla città, ma che con l’avanzare dei lavo­ri si è rivelata ben più com­plessa, con due fornici laterali più piccoli riservati ai pedoni e un grande fornice centrale di tre metri di ampiezza adat­to al passaggio dei carri. A ba­se quadrata, si alzava come una torre tra le mura. Struttu­ra che si intravede ancora nel­la sagoma del palazzo. Il forni­ce centrale è posto a cavallo di un cardo il cui basolato è anco­ra perfettamente conservato. Lungo il perimetro murario che correva sulla traiettoria di via Leoncino, la porta era la prima uscita dalla città verso la campagna alla destra della ben più monumentale Porta Leoni.

Un ritrovamento, quello del­la porta a tre archi, che si collo­ca tra i tanti che lo Stato non riesce a finanziare e che Stato ed Enti Locali non hanno le ri­sorse per valorizzare. Dopo i primi contributi allo scavo del­lo Stato, le indagini archeolo­giche sono state finanziate dai proprietari dell’edificio, che commentano: «Se qualcuno ama definire questi resti solo quattro sassi, e preferirebbe buttarli in padella, la nostra fa­miglia, anche chi non è diret­tamente implicato nella pro­prietà, ha preferito investire, non solo economicamente, per salvaguardare questi ritro­vamenti ». Si ma poi qual è il destino per questi tesori sommersi?

Giuliana Cavalieri Manasse ha intascato quest’anno zero euro dal ministero per l’arche­ologia veronese e nutre poche speranze sui fondi richiesti per la realizzazione del Museo Archeologico a San Tomaso, nel quale dovrebbe trovare va­lorizzazione il lavoro di scavo e soprattutto di ricostruzione del Campidoglio durato più di vent’anni e presentato pro­prio ieri.

I lavori vanno avanti grazie al sostegno della Fondazione Cariverona o, in rari casi, di privati illuminati.

E il Comune, che dalla valo­rizzazione di questi tesori po­trebbe trarre grande giova­mento?

«E’ doveroso e auspicabile ­dice l’assessore ai Lavori Pub­blici Vittorio Di Dio che sostie­ne l’ipotesi di creare un mu­seo della Verona sotterranea­che il Comune recuperi risor­se e collabori in maniera conti­nuativa con la Soprintenden­za per la valorizzazione delle aree di scavo e per altri proget­ti di musealizzazione dei resti recuperati. Con quanto si è trovato sotto l’Arena, sotto corte Sgarzerie e in altre zone di Verona si può costruire un circuito di grande valore e di grande attrattiva turistica. Sa­rà mio impegno organizzare un incontro su questi temi ap­pena possibile».

Dal Campidoglio ai Fori, nel luogo della mente

Dal Campidoglio ai Fori, nel luogo della mente
JACOPO RICCIARDI
Messaggero 30/04/2009

PASSEGGIATE ROMANE Nel cuore vuoto della città le macerie di luce provocano un grido muto che brucia la memoria. La sola cosa che resta viva è l'aria, ma priva di parole. Il cielo è un sussurro limpido e lontano, misericordia dimenticata. Dal Campidoglio al Colosseo la vista dall'alto mostra un grande vuoto, una sospensione surreale, resti di una distruzione silenziosa che oggi mi colpisce come se fosse la luce stessa ad averla generata. I Fori mi appaiono nudi, privi di storia, al centro di questa città che in quel punto è bruciata dalla luce, come rasa al suolo. Scendo, consapevole di incontrare un mare confuso eccessivamente aperto nel quale l'occhio non riesce a trattenere i tempi che furono. Qui l'orizzonte si moltiplica, e le lontananze pi estreme fanno parte di un paesaggio esausto. Penso alla lontanissima Madaura e alla pi vicina Pozzuoli come a due cardini temporali che aprono un sofferente enigma nella luce intrappolata tra questi violenti ruderi. Roma mi appare come una sintassi spezzata , un insieme di giochi verbali, giochi di figure, effetti fonetici e musicali, concettismi, colori carichi ; Roma oggi è la prosa latina di Apuleio che si perde come una luce nell'aria davanti a degli occhi ciechi. Leggo senza poter vedere veramente; amo, Òome un cieco, senza sapere esattamente l'oggetto del mio amore. Incontro Lucio a Roma ma non lo posso seguire per queste strade. Iside lo porta ancora oggi in questa città, al suo tempio in Campo di Marte. Mi giro indietro verso quel luogo che da qui non posso vedere né immaginare. Brucia la luce ardente ogni cosa. Qui un amore si crea e si sposa. Attendo. E Lucio o Apuleio che incontro oggi? Quale figura tra le due è la pi reale oggi? L'una è finzione che tocca lalèggerezza dell'anima e dello spirito predisposto finalmente alla fede e resistente al corpo del mondo; e l'altra, nascosta nel cuore della prima, sembra ora che è persa ancora pi viva davanti a me, consapevole del destino nell'ambigui- tà del mondo. Appena formulo questo pensiero. un altro simile apparein me: esiste anche la consapevolezza del destino nell'ambiguità del vivere, questo è l'intoccabile Petronio, questa è l'immagine perenne del Satyricon. Il mondo si trasforma in arte potrei dire: l'arte è la metamorfosi del mondo, e la bellezza dell'artificio brucia un'identità in modo pi ardentedi qualsiasi altra cosa, come questa luce brucia l'aria, e l'aria me e il mio sguardo. 11 mio pensiero ascolta, qui, calato tra queste rovine. Un'esplosione di luce mi sposa. Basta andare con la mente a Pozzuoli, basta far infrangere una tazza da trecentomila sesterzi di purissima fattura contro l'azzurro del cielo per far impazzire Nerone. Petronio, alla tua morte il tuo sguardo non lascia mai ci che vive. Sembri vivere in ogni secondo anche oggi. Il Satyricon sembra abitare ogni istante di ogni esperienza in qualsiasi civiltà. La lingua parlata che tu hai preso nel tuo tempo viaggia alla velocità della luce e incontra e specchia e spoglia ogni altra esperienza vissuta, ogni altra vita trascorsa su questa terra resa nuda davanti all'intelligenza o alla debolezza dell'uomo. Il tuo sguardo, come anche il mio ora, è sempre esterno alla società che guarda, per poterla vedere, amandola e odiandola nel preciso medesimo istante, per renderla viva e provocazione dello spirito. Apuleio, da così lontano parla. A Roma, lui ci dice, si va per voleredegli dei. Roma è nella mente. Roma è il luogo dove lo spirito incontra l'insegnamento ultimo della religione. Iside sembra negli occhi di Agostino come nei miei la madonna. La spiritualità nasce da questo incontro con una voce che suggerisce all'uomo gli atti pi concreti e pi dolci. Io passo davanti al rudere delle tre navate della Basilica di Massenzio e vengo rapito da uno spazio amplissimo che sembra poter contenere l'uomo e il suo universo. Ecco cosa ricrea la mia mente: quel luogo, e l'uomo e l'universo che lo attraversa. Lucio davanti alla statua d'argento di Iside: quale fiducia mostra al lettore! Quella fiducia, che consiste nel vedere nella statua la stessa dea vivente, mostra una strada concreta e percorribile verso la fede. La curiosità di Apuleio in Lucio si trasforma, nello stesso istante in tutti e due, in una materia nitida che impara a portare in sé la natura del mondo, infondendo una calma al contempo divina e umana nella persona che brilla infine davanti alla vita e alla morte con un'anima leggera che è stabilità dello stesso mondo. Forse è questo il motivo per cui il lavoro di Lucio è quello di avvocato al Foro. Anche oggi l'Egitto è una provincia della mente, parte di un immenso impero che pu ricostruirsi qui nel nostro nome, da questa vita che possediamo, oltre questi ruderi, nel cuore della luce venuta fin qua gi a spogliare un'intera città. Da una lingua mortal'amorepu creare un'intera civiltà presente, che raccoglie in sé ogni tempo. Agostino poco meno di duemila anni fa consider prezioso il romanzo di Apuleio e lo chiam L'asino d'oro, fonte di una necessità spirituale che non si esaurirà mai e che è destinata a viaggiare nei tempi. Dall'archeologia della Storia riemerge un libro, il Satyricon, vivo come è la vita in ogni tempo presente, frammentato in un enigma che racconta questa luce di oggi e di ora spogliata lungo la parete di mattoni rossi del Tempio di Venere creando un destino nell'esperienza nuda della persona. Ritorno alla città, allungo riflesso del mio cuore, ora.

Monte di Procida. Colombari affrescati e pregevoli edifici funerari di epoca romana

Monte di Procida. Colombari affrescati e pregevoli edifici funerari di epoca romana
PATRIZIA CAPUANO
30/04/2009 IL MATTINO

Monte di Procida. Colombari affrescati e pregevoli edifici funerari di epoca romana: il cimitero della flotta imperiale diventa un Parco archeologico. Restaurata in piazza Mercato di Sabato la necropoli riemersa anni fa durante lavori di arredo urbano, parte di un complesso di tombe lungo la strada tra il municipium di Misenum e Cuma. La certezza del sito agli archeologi venne da un'iscrizione che Lucius Vibus Valens, sottufficiale della triremi Capricorno, dedicò al marinaio semplice Tiberius Claudius, diventato suo erede. Quattro i colombari riportati alla luce, realizzati con muri in opus reticolatum e coperti con volte a botte. La parte superiore, con tombe risalenti al IV secolo d.C., ospitava scheletri secondo una tradizione cristiana. Al livello inferiore le nicchie accoglievano le urne cinerarie di ufficiali e sottufficiali della flotta. Ad adornare le tombe affreschi di una menade danzante ed il busto della dea Selene. I monumenti strappati allo scempio urbanistico e i resti dei militari sepolti per due millenni sono ora custoditi in una struttura con atmosfera controllata e illuminata, sotto la restaurata piazza Mercato di Sabato. Qui, al centro, è stato realizzato un cubo vetrato indipendente dalle antiche mura, che consente la fruizione dei reperti anche dall'alto. L'accesso alla necropoli è invece dal basso.

Il progetto di ristrutturazione, per il quale sono stati spesi 900mila euro grazie ad un accordo di programma tra Stato e Regione e ai fondi dell'Unione europea, è stato elaborato dagli esperti della soprintendenza Cosimo Catapano, Giacinta Jalongo e Francesca Praiano. Il piano ha puntato a tutelare l'area monumentale e, nel contempo, a restituire alla popolazione la piazza realizzando un sito unico in Italia. Ma per la definizione di un calendario di apertura al pubblico, bisogna attendere la firma di un protocollo d'intesa tra Comune e sovrintendenza. Intanto si è tenuta la cerimonia ufficiale di inaugurazione di tre monumenti funerari ristrutturati (per il quarto si attendono i fondi). E per Monte di Procida e Cappella, frazione al confine con Bacoli, si tratta di una grande occasione per inserirsi nel circuito turistico-culturale dei Campi Flegrei nell'ambito del progetto Retour, un itinerario archeologico e paesaggistico. È l'auspicio di Francesco Escalona, presidente del Parco regionale Campi Flegrei. Mentre il sindaco Francesco Iannuzzi sottolinea «la necessità di snellire i processi burocratici da parte della soprintendenza». Basti pensare che questo restauro ha accompagnato le tre amministrazioni dei sindaci Di Mare, Coppola e Iannuzzi.