mercoledì 5 novembre 2008

Anzio, qui Nerone costruì le ville e Fellini si inventò il Grand Hotel

Anzio, qui Nerone costruì le ville e Fellini si inventò il Grand Hotel
PAOLO DI PAOLO
MERCOLEDÌ, 05 NOVEMBRE 2008 LA REPUBBLICA - Roma

Lo scrittore

L´imperatore romano, nato qui, fece edificare un porto e costruire una villa imperiale di grande splendore
Il regista scelse il "Paradiso sul mare", un casinò stile liberty con cupole d´argento, e lo fece passare in Amarcord per l´albergo di Rimini

Verso sera, i ruderi della villa di Nerone sembrano quasi fuori posto. Estranei alla moderna geografia balneare, appartengono a una storia silenziosa e distante. Questo mare di Anzio lo frequentavano già Cicerone e Mecenate, Ottaviano e poi Caligola; ma è Nerone, nato qui, che volle edificarvi un porto e vedere splendere la villa imperiale di tutta la bellezza possibile - le mura oltre la spiaggia, fino nell´acqua. La dolcezza della vita. La ingigantì, la colmò di statue e dipinti. Deciso a goderne in solitudine, una volta per tutte cercò di impedire il rientro a sua madre Agrippina, di ritorno in nave da Bacoli. Non gli riuscì di farla affondare simulando un naufragio: scelse la notte sbagliata, serena e di mare calmo - racconta Tacito: ed è una storia comica e disperata. Come molte altre che hanno Anzio per sfondo, finite al cinema: ne sono stati raccolti i fotogrammi in una piccola mostra l´estate scorsa al Parco Archeologico. Da Cleopatra con Liz Taylor a Amarcord di Fellini, che scelse il "Paradiso sul mare", un casinò stile liberty con cupole d´argento, e lo fece passare per il Grand Hotel di Rimini.
In un libro, "Anzio e i suoi lidi" di Patrizio Colantuono (lo trovo per caso nella libreria sulla piazza), sono raccolte una serie di cartoline d´epoca: ne affiora l´aspetto opaco e arioso di altre Anzio. 1918, Riviera di Levante: piccola folla di donne e bambini in posa. Sguardi quasi accigliati, di una curiosità verso l´obiettivo che oggi appare un poco rozza. Sono a mollo, ma indossano costumi improbabili, senza un lembo di pelle scoperta. Poi salti al 1960 e sulla passerella dello stabilimento Tirrena c´è un´aria diversa: più disinvolta, svagata. Indovini le silhouette di signore già in bikini. Nugoli di bambini in minuscoli slip si guardano attorno. Come sapevano Benjamin e Barthes, le fotografie hanno qualcosa a che vedere con la resurrezione. Di qui, lo stupore che sempre suscitano. La data - ha scritto Barthes - fa parte della foto, «induce a far mente locale, a considerare la vita, la morte, l´inesorabile estinguersi delle generazioni: è possibile che Ernest, scolaretto fotografato da Kertész nel 1931, viva ancora oggi (ma dove? come? Che romanzo!)».
In una cartolina del 1920, due giovani di spalle guardano il porto, sgombro e invaso dalla luce. Lui tiene una mano sulla spalla di lei, che indossa un copricapo bianco. Lo stesso tratto di mare, nel 1944, appare incupito da muri sventrati e relitti bellici. Una veduta aerea nel giorno dello Sbarco ha qualcosa di angoscioso, così pure il passaggio dei mezzi anfibi davanti al "Paradiso sul mare". Delle vicende di quei mesi custodisce la memoria il Museo dello Sbarco, ma una piccola, tragica storia di guerra è ancorata a un monumento eretto alla fine anni Settanta. La storia è quella della bambina Angelita, uccisa per errore da un colpo a salve di artiglieria: la ricorda una minuta sagoma di bronzo che incrocio sulla Riviera di Ponente. Poco oltre, su un muro, una scritta di vernice nera: "25 aprile, partigiano verme".
L´odore di frittura di pesce arriva a sbuffi dai ristoranti. Da poco ha aperto qui un locale curdo-turco - specialità kebab, che già qualcuno addenta in solitudine, seduto ai tavolini di plastica bianca. Le spiagge si fanno in fretta ombrose e umide, i gabbiani le perlustrano a piccoli gruppi con un´aria che pare perplessa. Sono ormai spoglie di ombrelloni e le luci al neon dei bar le raggelano. I traghetti aspettano i passeggeri per Ponza; il viavai verso la piazza si fa meno fitto. Tre vecchie signore discutono su chi debba pagare la cena (una in particolare si adonta seriamente). Con gli occhi rivolti al porto, una donna molto truccata vuole assicurarsi, via telefono, di qualcosa che non capisco. Punge l´odore dell´acquamarina che ristagna sui bordi del porto, un odore salso e muschioso. Alcune piccole imbarcazioni attraccate hanno un aspetto trascurato. Morse dalla ruggine e dal sale, portano nomi che mi divertono: Nunzia, Ombrina 2, Rinascita.
Mi racconta Letizia (lei vive qui da sempre) che è un vero spettacolo l´arrivo del pesce sulle banchine, tutti i giorni, alle tre del pomeriggio. Dopo avere scelto le forniture destinate ai ristoranti, i pescatori riservano ai cittadini cassette di pesce azzurro, gamberi, polpi, a prezzi molto economici. È l´usanza della "mazzana", e spesso basta contrattare un po´. Al dialetto locale si confondono le voci nordafricane.
Anzio, dice Letizia, è soprattutto mare, soprattutto porto. «In un posto senza acqua io non potrei vivere. Mi piace poter guardare il mare in tutte le stagioni, sentirmi in vacanza già da aprile. Scendo in spiaggia e mi dico che è una fortuna vivere qui». Però ricorda le estati di ragazza come mitiche: il lungomare, la piazza erano così affollati da non riuscire a farsi largo. Era epoca di villeggiature che duravano mesi - gente di Roma e dei Castelli che si piantava qui da giugno a settembre. Ora vengono nei fine settimana e scappano via. Roma è a un´ora di treno. I più giovani vanno a cercare movida altrove. Gli affitti da giugno ad agosto si gonfiano parecchio, per poi sgonfiarsi a settembre, quando le case del centro le prendono le maestre. Alle sei di un pomeriggio d´autunno in piazza potresti non incontrare nessuno. Anzio d´inverno diventa un fantasma.
L´idea dell´ex sindaco Candido De Angelis, ora senatore, di riaprire il casinò caro a Fellini, il "Paradiso sul mare", piace a molti. «Potrebbe rivitalizzare la vita cittadina, portare un turismo diverso. Però Anzio è pronta?».
In Piazza Pia si respira rilassatezza. Ma Anzio senza estate sembra davvero un poco orfana. Nelle vecchie cartoline la piazza ha qualcosa di scabro, quasi austero. Resto a guardare a lungo un´immagine datata 1923. Si vede questo spazio invaso da una folla che ascolta la musica. Sulle teste degli uomini, immancabili cappelli di paglia. Le donne indossano abiti chiari. C´è chi si affaccia curioso dalle finestre dei palazzi. Il mare sembra lontano, assente; lo spirito pare di belle époque ritrovata. L´incoscienza della storia mentre avviene si impiglia in istantanee come queste. Dov´è che i luoghi nascondono la memoria di sé? Lo scalpiccio dei cavalli sulla terra battuta di un giorno qualunque del 1858 (lo colgo da un disegno luminoso e geometrico di allora)? E questo brusio di centocinquant´anni dopo, dove va a perdersi? I bambini più piccoli si distraggono già, cercano altro; i più grandi si aggregano a capannelli vivaci. Un ragazzo e una ragazza si tengono per mano, con qualche incertezza. Si fermano a guardare per un attimo la piazza, da lontano. Si sorridono. «Amo´ - le dice in fretta lui - annamo via».