lunedì 20 ottobre 2008

AQUAE: Gli Acquedotti

AQUAE: Gli Acquedotti
In principio era l’acqua. Il dio Tevere avrebbe benignamente preservato la cesta coi gemelli fondatori. Il secondo re, Numa Pompilio, fu ispirato dalla ninfa Egeria, cui era consacrata una fonte.
Fino dai primi secoli della Repubblica, i romani attingevano acqua dal Tevere, dai pozzi, dalle sorgenti. Fra il 312 a. C. e il 226 d.C., a partire dall’Aqua Appia, fu realizzata la grandiosa rete degli undici acquedotti, uno dei segni più visibili della civilizzazione romana nella città e nel territorio.
I percorsi degli acquedotti, erano in parte sotterranei e in parte fuori terra, con ponti e arcate imponenti.
Frontino e la Magistratura delle Acque. A Roma si contavano 1212 fontane pubbliche, 11 Terme maggiori e 926 bagni pubblici.
Le Terme imperiali, aperte a tutti, erano insieme Cattedrali delle acque, Templi e Musei della cultura, Cittadelle del tempo libero. Con un flusso d’acque mai visto nell’antichità gli acquedotti alimentavano le domus e le ville urbane e suburbane. Il taglio degli acquedotti per mano degli Ostrogoti (537 d.C.) sancisce la fine della civiltà romana e l’immersione nel tunnel dei «secoli bui». Ai Romani restava soltanto l’acqua del Tevere e l’Acqua Vergine, unico acquedotto preservato.
Mille anni dopo, con la costruzione dell’acquedotto Felice, l’acqua tornò finalmente sui colli di Roma, rimasti a lungo disabitati. Le grandi Mostre barocche degli acquedotti (Fontane del Mosè e del Gianicolo, di Trevi) emulano gli antichi «Trofei di Mario».