giovedì 28 agosto 2008

PINCIO. La battaglia culturale e politica di Italia Nostra per evitare alla città di Roma nuove sciagure

PINCIO. La battaglia culturale e politica di Italia Nostra per evitare alla città di Roma nuove sciagure
Salvatore Bonadonna
Liberazione 28/8/2008

Il megaparcheggio nel ventre del Pincio

Italia Nostra ancora una volta benemerita nella battaglia culturale e politica per evitare che su Roma si abbattano nuove sciagure; questa volta, sotto la forma di un megaparcheggio nel ventre del Pincio, sotto la storica terrazza e dietro i percorsi disegnati da Valadier nella progettazione dell'incontro di Villa Borghese con la Piazza del Popolo. Dopo le petizioni, la raccolta di firme, le manifestazioni per scongiurare che una opera tanto impattante quanto inutile prendesse il via, Italia Nostra ha informato il sindaco Alemanno di avere presentato un esposto alla Corte dei Conti e alla Direzione di Sorveglianza dell'Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici. Sarà interessante vedere come reagirà il sindaco che aveva dichiarato la sua contrarietà all'opera durante la campagna elettorale e che, adesso, dovrà pronunciarsi formalmente con un atto della sua Giunta. Le cronache ci dicono di opinioni diverse e contrapposte nella maggioranza. E' nota la contrarietà del capogruppo del Pdl Cicchitto e, al contrario, il possibilismo del sottosegretario ai Beni Culturali, nonché coordinatore romano del Pdl, Francesco Giro. Nella sinistra, anche in quella parte che aveva approvato il progetto con molte cautele e per fedeltà di maggioranza, pare evidente che le riserve debbano sciogliersi in senso negativo dopo la scoperta di reperti archeologici importanti di cui non c'era traccia negli atti amministrativi di approvazione, anche se documentati in testimonianze di autorevoli archeologi e segnalati come possibili dalle sovrintendenze chiamate a rilasciare i pareri.
Adesso che i lavori di scavo hanno evidenziato la esistenza di una domus, vengono al pettine tutti i nodi del pressappochismo opportunistico con cui si adottano le decisioni importanti nel nostro paese e nella città di Roma in particolare. Studi preliminari mancanti e sostituiti da generiche valutazioni, pareri che appaiono correttissimi e rigorosissimi ma che nascondono le verità dietro il rituale "a condizione che" o il rinvio a successive verifiche. Intanto, però, vengono assegnati gli appalti che sono il vero motore delle opere più o meno pubbliche o di interesse pubblico; le amministrazioni si compromettono con le imprese che, come se fossero all'oscuro dei problemi esistenti, lamentano i danni di una eventuale revoca del progetto e ne rivendicano il compenso.
I politici, a quel punto, normalmente, si trincerano dietro il costo rilevante delle penalità insorgente a carico dell'amministrazione e, altrettanto normalmente, danno continuità all'opera dannosa e, prima, osteggiata. Il problema urbanistico o ambientale, affrontato in malo modo e anche in dispregio delle normative europee, diventa, così, materia di giustizia contabile o penale perché le vie normali e ordinarie, agibili in tutta Europa, da noi sono considerate inutili complicazioni e lacci che impediscono lo sviluppo. Si fa conto sul fatto che difficilmente qualcuno paga. Ricordate la vicenda del Ponte sullo Stretto e la penale da pagare perché l'amministratore aveva assegnato alla società aggiudicataria l'appalto qualche settimana prima che il Governo potesse revocare la decisione di fare quell'opera inutile e dannosa oltre che costosa?
La triste verità è che, ormai, purtroppo, l'affermazione ipocrita che le opere pubbliche "non sono né di destra né di sinistra" è diventata senso comune a cui reagiscono solo quanti si pongono il problema della salvaguardia dell'ambiente e della cultura e quanti, consapevolmente, perseguono un altro modello di società e, quindi, di città.
II progetto del parcheggio sotto il Pincio appartiene a quella categoria di opere che servono a chi le commissiona pensando di ottenere consenso politico e a chi la realizza perché, sicuramente, ne trarrà una massa enorme di profitto. Ma è un progetto privo di senso come quasi tutti quelli che fanno capo al Piano Urbano Parcheggi. Infatti mentre in tutte le capitali i parcheggi, che per loro natura sono attrattoli di traffico, vengono concepiti come strumenti della politica della mobilità urbana con l'obiettivo di allontanare e ridurre il traffico nei centri storici, a Roma sono pensati come ricovero di auto che arrivano nel centro città e non trovano posto in strada. Sono pensati come occasione per fare tanti soldi: il rapporto tra costi e ricavi può essere elevatissimo sia nella vendita dei posti auto sia nella gestione del parcheggio orario.
Anche questo aspetto fa capo a quella idea di città che si è appalesata attraverso il Piano regolatore. Una occasione di affari, capace di fare crescere il Pil e, contemporaneamente, la miseria, l'emarginazione e la povertà. Alla città degli affari si danno milioni di metri cubi e il parcheggio; alla gente che vive la città il peggioramento delle condizioni di traffico; a quella della marginalità, l'illusione della sicurezza con le camionette dell'esercito davanti alle ambasciate. Veltroni aveva giudicato che questa fosse la migliore idea di città; Chicco Testa, per conto della Sta, ha condiviso e, per questo, proposto il parcheggio del Pincio e sostiene ancora che è necessario e fattibile. Sulla necessità serve la prova; la fattibilità tecnica è scontata se conta il profitto di chi fa l'opera e non ha valore alcuno il bene archeologico, quello monumentale, quello paesistico ambientale, quello culturale che individua lo spirito dei luoghi per quanto questi hanno accumulato e trasmesso di creazione artistica e di vivibilità, di spiritualità appunto.
Provate ad immaginare la salita al Pincio e la visita alla terrazza per guardare Roma dall'alto, attraversando griglie di areazione del garage sotterraneo ed evitando le auto che entrano ed escono. E' decisamente meglio che il Comune eserciti il suo potere per revocare l'opera e i ministeri e le sovrintendenze si attengano al dettato costituzionale che considera superiore ad ogni altro interesse economico quello relativo ai beni culturali ed ambientali.