martedì 29 aprile 2008

Dardi di ferro, lunghi anche venti centimetri, a Pompei

POMPEI : Dardi di ferro, lunghi anche venti centimetri, a Pompei
Carlo Avvisati
10/07/2007 IL MATTINO

Viaggiavano con una velocità che poteva raggiungere anche i cento chilometri all’ora ed erano capaci di passare da parte a parte il malcapitato che si fosse trovato sulla loro strada. Di più. Se riuscivano a infilarsi in un camminamento delle mura, erano in grado di fare una vera e propria carneficina infilzando, letteralmente, più e più uomini.

Dardi di ferro, lunghi anche venti centimetri; appendici assassine scagliate dalle catapulte romane e dirette ai difensori di Pompei duemila e cento anni fa.

Li hanno trovati, per la prima volta, gli archeologi del Suor Orsola Benincasa di Napoli che a Pompei, lungo il lato sud e all’esterno della cinta difensiva della città antica, stanno studiando le strutture e lo sviluppo architettonico della Casa di Fabio Rufo, una bella costruzione dell’Insula Occidentalis. Un ritrovamento significativo, quello che gli allievi del corso di laurea in Conservazione dei Beni culturali, coordinati dai loro professori, Umberto Pappalardo e Mario Grimaldi, hanno effettuato; perché se da un lato induce gli specialisti a riconsiderare le ipotesi di sviluppo dell’assedio a Pompei, che non avvenne quindi solo dal lato Nord, dall’altro consente di studiare per la prima volta un tipo specifico di proiettili che venne usato in quella guerra. Gli altri, le ghiande-missile e le sfere di pietra, pur rinvenute nello stesso saggio, erano già stati trovat’ sia all’interno della città sia all’esterno, in particolare nella zona tra Porta Vesuvio e Porta Ercolano, appunto a Nord. Tiri sbagliati, questi ultimi, che, dicono gli archeologi, si erano andati a infrangere sulla cortina difensiva producendo solo danni alla muratura: buchi profondi anche dieci centimetri. In effetti, anche se i guasti materiali erano di poca entità, gli echi dei colpi e il ritrovamento di quei proiettili così grandi serviva a terrorizzare ulteriormente i civili inermi, tra i quali si contavano centinaia di morti e feriti. Il fatto è che in quell’assedio dell’89 avanti Cristo, Roma, che doveva dare una lezione ai ribelli pompeiani (si erano uniti a popolazioni sannite, oltre che agli abitanti di Stabiae e a quelli di Ercolano), aveva usato il meglio che la tecnologia bellica del tempo poteva offrire. Silla, il dittatore, aveva portato attorno alla città l’eccellenza delle legioni. Armate di tutto punto, con batterie da campagna terrificanti per potenza di fuoco: c’erano catapulte che sparavano proiettili di pietra pesanti anche 25 chilogrammi. E poi i dardi, appunto come quelli ritrovati, che potevano vedere triplicata la potenza distruttrice quando venivano armati con stoppa incendiata e in quel modo appiccavano il fuoco ai camminamenti e alle case. «Le ghiande-missile, tra le altre - sottolinea Grimaldi -, una volta restaurate, visto che sulla loro superficie veniva inciso il nome della legione d’appartenenza, potranno indicarci con certezza quali schiere attaccarono la città dal lato Sud e da chi erano guidate». L’indagine sulla Casa di Fabio Rufo tuttavia non ha dato solo informazioni sull’assedio alla città. I reperti che a mano a mano emergono dallo scavo stanno dando indicazioni sulla presenza di un tempio esterno alle mura cittadine. L’edificio dovrebbe essere dedicato a una dea e non a una divinità maschile come invece si ipotizzò quando Giovanna Bonifacio, archeologa della Soprintendenza di Pompei, trovò nella Casa del Bracciale d’oro, un’abitazione situata in prossimità di quell’area, delle lastre sacre con dediche e invocazioni al dio Apollo. Dallo scavo si stanno infatti recuperando statuine fittili di divinità femminili, intere e con vesti splendidamente panneggiate, ceramica miniaturistica, lucerne votive e pesi da telaio, il tutto ben conservato. Contestualmente, dalle indagini stanno emergendo anche numerose ossa di animali, in prevalenza ovini e suini. Intercettate, ancora, delle vasche per l’uso industriale dell’acqua, che arrivava nei contenitori mediante delle canalette. A quale produzione servissero, le vasche, ancora non è stato accertato. «Di certo - sottolinea l’archeologo - quando Fabio Rufo si fece costruire il bel portico con vista sul Golfo, già c’erano. Abbiamo bisogno di altri elementi. Alla fine, però, tutto quadrerà e potremo conoscere meglio Pompei e i suoi abitanti».