giovedì 6 marzo 2008

L’archeologo e l’imperatore. Uno studioso garibaldino, la riscoperta del Palatino e il desiderio di Napoleone III di farsi erede di Roma

L’archeologo e l’imperatore. Uno studioso garibaldino, la riscoperta del Palatino e il desiderio di Napoleone III di farsi erede di Roma
Adele Cambria
03/01/2006, L'Unità, Roma



MI VIENE INCONTRO, ANSIMANTE per il freddo e la corsa, i capelli fulvi scompigliati, Maria Antonietta Tomei, Direttore della Soprintendenza Archeologica di Roma, e delegata al controllo delle zone a rischio-crollo del Palatino.

Torna infatti da un giro sul versante San Teodoro del colle, («Il monte romuleo - così lo definisce Andrea Carandini - mai illustrato al mondo nel suo concentrato massimo di Storia»).

«Dalle parti di San Teodoro, dove il tufo denudato è più esposto alle intemperie» mi dice la Tomei, «siamo già al lavoro per tamponare una situazione in crisi».

(«Qui ci vorrebbe anche una équipe di geologi...», aveva sottolineato il Soprintendente, nell'intervista pubblicata su queste pagine).

Ma oggi non sono venuta a parlare del rischio-crolli. Mi incuriosisce invece la storia, che ignoravo, dell' autore dei primi scavi estensivi sul Palatino, condotti con criteri scientifici: era quel Pietro Rosa, architetto e topografo, che forse è un lontano antenato della Tomei («Un po' parente, ma non è questo che conta », minimizza lei): ed al quale la studiosa ha dedicato dieci anni di ricerche producendo un colossale volume: «Scavi francesi sul Palatino - Le indagini di Pietro Rosa per Napoleone III», pubblicato con la collaborazione dell'Ecole Française de Rome e della Soprintendenza Archeologica di Roma.

Le sorprese quindi, almeno al mio livello di fruitore mediobasso delle ricchezze archeologiche della capitale, sono tre. La prima é l'esistenza e la biografia tenacemente «combattiva» di Pietro Rosa; da giovane, nel 1849, Rosa lottò con Garibaldi, che gli affidò il ruolo, oltre che di ufficiale, anche di ingegnere delle fortificazioni, nella sfortunata difesa della Repubblica Romana; e poi, con altre armi, dovette difendere i suoi scavi dalle ingerenze di Pio IX. (All'epoca, 1860-1869, il Papa era ancora il Sovrano di uno Stato, quello Pontificio, sia pure ridotto alla sola città di Roma).

La seconda sorpresa è il fatto che gli scavi sistematici del Palatino li vollero e li finanziarono, per primi, i francesi. La terza, ed eclatante, è il personaggio di Napoleone III: fu lui che nel 1861, per 250mila franchi, acquistò il Palatino, già dominio Farnese, da Francesco II di Borbone, Re (sconfitto) delle Due Sicilie, e diede il via agli scavi. Educato dalla madre, Ortensia de Beauharnais, ai princìpi della Rivoluzione francese, il figlio di Luigi Napoleone Bonaparte riuscì ad essere, a 22 anni, carbonaro a Roma contro il governo pontificio; quindi, diciott'anni dopo, nel 1848, Presidente della Repubblica francese, eletto con cinque milioni e mezzo di voti: ed infine Imperatore, nel 1852, a seguito di un plebiscito in cui la sua carica di Presidente era stata confermata da oltre sette milioni di votanti. Ma perché, diventato Napoleone III, Charles-Louis-Napoleon Bonaparte volle farsi proprietario del Palatino e mecenate degli scavi finalizzati a disseppellire la memoria di Roma? Lo spiega un saggio dello storico dell'Ecole Française de Rome, Claude Nicolet, in apertura del volume della Tomei. «L'impresa costosa mariuscita degli scavi sul Palatino - scrive Nicolet - non è che un capitolo di una storia più vasta... quella di una guerra felpata ma perseverante che si svolgeva nell'Europa del diciannovesimo secolo, per assicurarsi l'eredità ed il peso simbolico dell'antica Roma». Nicolet ammette che non erano soltanto culturali le ragioni del fascino esercitato dalle memorie romane su troni e cancellerie del diciannovesimo secolo. Ma a proposito di Napoleone III afferma: «Non c'è ragione di dubitare della professione di fede, da lui apposta come epigrafe alla sua “Histoire de Jules César”...».
E cita: «La verità storica dovrebbe essere non meno sacra della religione». «E fu proprio in occasione della preparazione di questa sua “Storia di Giulio Cesare” -mi dice Maria Antonietta Tomei - che Pietro Rosa fu invitato a collaborare con l'Imperatore... Rosa era diventato abbastanza famoso per la sua Carta Archeologica del Lazio, presentata nel 1857 all'Accademia delle Scienze di Francia dal DesVergers, e la relazione dell'Accademico era stata così entusiasta che l'Imperatore si era offerto di pubblicare la Carta a sue spese... Ma Rosa rifiutò... Poco dopo, l'archeologo di fiducia di Napoleone III, Lèon Rènier, comunicò all'architetto romano l'incarico dell'Imperatore di redigere una Carta di Roma all' epoca dei Re...». E non appena Napoleone III ebbe perfezionato il suo acquisto, per 250mila franchi, degli Orti Farnesiani (1861), Rosa fu chiamato a dirigere gli scavi Palatini con la carica di Conservatore del Palazzo dei Cesari. «Ora non vorrei - dice Maria Antonietta Tomei - che il suo nome riemergesse dalle nebbie del passato soltanto come responsabile della cattiva tecnica di costruzione del muro crollato nei mesi scorsi...». E sfogliando il suo volume mi mostra la riproduzione di alcune foto di fine Ottocento che illustrano la sistemazione delle Uccelliere operata dal Conservatore di Napoleone III. Nel corso delle sue esplorazioni archeologiche furono rimessi in luce monumenti importantissimi: il Tempio della Magna Mater, quello di Apollo, parti della Domus Tiberiana e della Domus Flavia.